Paradossi

Facebook, sul social di Mark Zuckerberg si può augurare la morte di Putin, ma non quella di Zelensky

Francesco Specchia

La chiamano "Maskirova", è la raffinata arte dell'inganno germogliata nel Kgb. Nella Grande Madre Russia, la Maskirova consente di vincere le guerre titillando l'odio di massa. Putin ne è profondo estimatore e la pratica contro l'Ucraina. Quindi, di prim' acchito, fa sorridere amaro, come in un romanzo di Gogol, il fatto che la Russia protesti proprio contro «i post di incitamento all'odio e alla violenza» che Facebook da oggi consente ai propri utenti di pubblicare, disapplicando il filtro della sua strettissima censura. La Russia che condanna la Maskirova degli altri. Di prim' acchito, dunque parrebbe legittima la decisione di Mark Zuckerberg, benedetto ragazzo, di consentire il libero flusso delle minacce di morte, della violenza e dell'invocazione a tutti gli dèi del massacro contro gli "invasori russi" , come atto dimostrativo contro Putin e il suo clone in sedicesimo, il presidente bielorusso Lukashenko.

 

 

 

Incitare al killeraggio dei dittatori che riempiono le fosse comuni e bombardano gli ospedali pediatrici può sembrare gesto rispettabile. Eppure, proprio da liberali, riteniamo che insultare la Russia illiberale sia la roba più illiberale che esista. Non occorre immergersi nel pensiero di Montesquieu odi Croce per comprendere che il rispetto anche del nemico è il faro della civiltà: e che a mettersi sullo stesso piano della bestia rischi di macchiarti dello stesso sangue delle sue zanne, dicevano i gesuiti. Ora, la nuda cronaca registra che le autorità russe hanno avviato una «formale protesta» (sic) al governo Usa affinché «si ponga fine all'attività estremista di Meta». Si registra pure che il Cremlino, attraverso il Comitato investigativo, avvia un procedimento penale contro Meta che controlla Facebook e Instagram per incitazione alla violenza e all'omicidio contro cittadini russi da parte di dipendenti del colosso Usa; il riferimento è all'indicazione di reati «ai sensi degli articoli 280, 205.1 del Codice penale della Federazione Russa». Da qui le limitazioni ai due social. Di contro, la società di Zuckerberg consente l'uso dei mortai della messaggistica inteso come «espressione politica» e forma di rappresaglia. Per Meta la rimozione temporanea dei limiti ai messaggi di odio sarà valida in Armenia, Azerbaigian, Estonia, Georgia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Russia, Slovacchia e Ucraina. «Sarà inoltre possibile», recitano le comunicazioni interne, «invocare la morte dei presidenti di Russia e Bielorussia, purché le minacce non contengano riferimenti ad altri».

La mail destinata ai moderatori di Meta stabilisce che la deroga riguardi messaggi di odio «diretti verso i soldati russi, a eccezione dei prigionieri di guerra, o russi quando è chiaro che il contesto è l'invasione russa dell'Ucraina (ad esempio se il contenuto menziona l'invasione, l'autodifesa)». Cioè viene redatto una sorta di vademecum, di codice di regolamentazione delle minacce di morte stesse. «Facciamo così perché abbiamo osservato che in questo contesto specifico "soldato russo" viene utilizzato come riferimento all'esercito russo», si legge, con freddezza di forma, nella mail del portavoce di Meta Joe Osborne. «La politica sui messaggi di odio continua a vietare gli attacchi ai russi». Vengono inoltre rimosse le limitazioni che impedivano di lodare il Battaglione Azov, il simbolo dell'estrema destra Ucraina; «nello stretto contesto della difesa dell'Ucraina o del suo ruolo come parte della Guardia Nazionale Ucraina». La cosa spiazzante è il dibattito interno che si accende tra i burocrati del politicamente corretto di Facebook nell'individuare la sottile differenza tra le espressioni «morte agli invasori russi» (consentita) e «morte ai russi» (non consentita, ma se ne può parlare).

 

 

 

Ora, Meta non è nuova ad iniziative del genere. Lo scorso luglio Facebook aveva permesso di pubblicare appelli alla morte della guida suprema iraniana, Ali Khamenei. Meta considera questa procedura un suo modo personalissimo di andare alla guerra. Ma, pur comprendendo lo slancio umanitario di Mr. Zuckerberg, non funziona così. Entrare nella stessa follia dell'autocrate è pericoloso per la democrazia. L'idea che qualcuno possa decidere e orientare i tuoi pensieri e le tue pulsioni è qualcosa che atterrisce. È un'azione che spinge a futuri apocalittici; e poi, ti porta a riguardare la denuncia contro il mondo plagiato dai social del documentario The Social Dilemma di Jeff Orlowsky su Netflix. Dove si narra, con diffidenza sfumata nel terrore, della manipolazione e del potere degli algoritmi sulle menti fragili. Lì Zuckerberg e i suoi colleghi si mostravano come un'orda di demoni della manipolazione. Perfettamente, se si vuole, arruolabili nell'esercito del diavolo Putin...