CATEGORIE

7 ottobre, la guerra ha teatri diversi e molte repliche. Ma un solo nemico

di Daniele Capezzone martedì 5 dicembre 2023

4' di lettura

L’ennesimo attentato a Parigi, con il solito grido «Allah Akbar» e la scia di sangue a cui ci stiamo tragicamente abituando, ci ricorda tre cose. La prima - e si tratta di un copione ormai fastidioso- è il tentativo di derubricare l’episodio evocando i presunti «problemi psichiatrici» dell’aggressore, un francese di origini siriane. Ma, in tutta franchezza, i problemi psichiatrici rischiamo di averli noi, se ancora, qui in Occidente, mettiamo in campo piccole tattiche per attenuare -attutire -smussare, per fingere di non aver capito ciò che invece è tragicamente sotto i nostri occhi. Qualcuno può ancora illudersi di andare avanti con la strategia della negazione e degli occhi chiusi, ma dovrebbe essere chiaro a tutti che abbiamo davanti una irrisolta questione islamista (prima o poi toccherà scrivere: islamica), in virtù della quale ci sono soggetti e gruppi radicalizzati pronti a colpire, a sgozzare, a uccidere per motivi religiosi. Vogliamo continuare a ingannarci, ad autocolpevolizzarci, a fare convegni sulla mancata o incompleta integrazione, oppure iniziamo a fare i conti con una realtà dolorosa ma innegabile?

Il secondo tema con cui fare i conti è quello dei soggetti segnalati come radicalizzati: anche l’assassino della Torre Eiffel era infatti - come accade sempre più regolarmente - schedato. Lo stesso era accaduto, come si ricorderà, per i responsabili dei due più recenti attentati in Europa, ad Arras e a Bruxelles. Questa volta - se possibile- il precedente è ancora più inquietante, visto che l’uomo era stato fermato nel 2016 e accusato di preparare un attentato.

PERICOLOSI AZZARDI

Ora, chi scrive è un garantista, ma occorrerà - prima o poi - chiedersi se il nostro armamentario giuridico ordinario sia adeguato rispetto alla sfida del terrorismo fondamentalista. Nessuno vuole travolgere le garanzie costituzionali o sovvertire il principio della presunzione di innocenza: ma è evidente che, con questo tipo di rischi, lasciare in libertà soggetti su cui gravano simili ombre di pericolosità è un azzardo che rischiamo di rimpiangere amaramente.

Né si può puntare - in termini risolutivi - sulla pura e semplice sorveglianza delle persone “segnalate”. Il loro numero, in tutta Europa, è infatti altissimo, ed è inimmaginabile che per ciascuna di esse siano quotidianamente mobilitati 6-8 agenti, ai fini di un monitoraggio perpetuo, ventiquattr’ore su ventiquattro. E se a questo si somma la realtà delle procedure che consentono a un richiedente asilo un margine di 18-21 mesi prima che l’iter si esaurisca (tra domanda, reiezione, ricorso e diniego finale), tutti comprendiamo che esiste un numero elevatissimo di soggetti di pericolosità letale a cui stiamo offrendo una chance rischiosissima per la nostra convivenza pacifica. Resta dunque un’opzione che non piacerà a qualche anima bella, ma che mi pare di grande ragionevolezza (almeno verso chi non abbia cittadinanza di uno stato Ue): fluidificare ed estendere i casi e le procedure di espulsione dai nostri territori (da ciascun Paese e dall’Europa) dei soggetti segnalati.

La terza e ultima questione da esaminare è quella strategica e geopolitica: il “7 ottobre” ha tante facce. C’è stata l’atroce azione di Hamas contro i civili israeliani, ma c’è stato pure l’appello- tramite Al Jazeera- al jihad globale, che in una forma o nell’altra è stato raccolto da qualche soggetto in giro per l’Europa. Che si tratti di “lupi solitari” o meno, l’effetto è comunque letale. Chi sia in cerca di consolazione, può constatare come a Bruxelles, un mese e mezzo fa, l’uomo che aveva ucciso qualche ora prima due svedesi, una volta ritrovatosi nel mezzo di un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine, sia stato rapidamente freddato: dunque, non era forse un superguerrigliero. Ma era comunque un soggetto rivelatosi capace di maneggiare e usare un kalashnikov.

Israele, obiettivo Khan Yunis: l'operazione massiccia dell'Idf

È tornata a scatenarsi l’aviazione israeliana su postazioni di Hamas nella Striscia di Gaza. Ieri le forze ...

TEATRI DIVERSI

Nel caso di Parigi, il fatto che l’aggressore abbia agito “solo” con un coltello e un martello fa effettivamente pensare a un certo grado di improvvisazione: mala determinazione feroce del fanatico gli ha comunque permesso di uccidere una persona e di ferirne due. In ogni caso, lo vogliamo capire o no che è la stessa guerra combattuta in teatri diversi? C’è il teatro principale (in Medio Oriente), ma ci sono anche le nostre capitali, ed è illusorio fingere che non sia così. In questo senso, è molto importante la manifestazione convocata a Roma domani sera, martedì, alle 19, a Piazza del Popolo, dalla Comunità ebraica di Roma e dall’Unione delle comunità ebraiche italiane, con lo slogan “No antisemitismo, no terrorismo”. I due concetti sono indissolubilmente legati.

Dopo l’attentato di Parigi, ad esempio, non è passato inosservato un tweet amaramente sarcastico di Jonathan Pacifici, che, nell’esprimere solidarietà alla Francia, ha svolto un’efficace e dolorosa caricatura adattata al caso francese - di ciò che di solito viene assurdamente detto dall’Europa a Israele: «Invitiamo però al dialogo e a non combattere i terroristi perché violenza chiama violenza. L’unica soluzione è politica con la creazione di uno Stato islamico nella Gallia storica con capitale Parigi Est». Questo paradosso doloroso e ironico, messo nero su bianco da una personalità del mondo ebraico, dovrebbe far riflettere molti: chinare la testa rispetto ai violenti non servirà a nulla, né in Medio Oriente né nelle nostre città. Prima lo capiremo, meglio sarà.

Mario Sechi: Una guerra tira l'altra, droni sulle navi Usa

A che punto è la guerra? Il singolare non si può più usare, siamo di fronte a una concatenazione di...

tag
israele
hamas
gaza

Tenere alta la guardia La guerra ibrida per fomentare l'antisemitismo: la sfida comune delle nostre democrazie

Trump e la sicurezza Nel nuovo ordine Usa, Israele serve all'Europa

Estremismi Imam, la lista del terrore: ecco chi sono i più radicali d'Italia

Ti potrebbero interessare

La guerra ibrida per fomentare l'antisemitismo: la sfida comune delle nostre democrazie

Jonathan Peled

Nel nuovo ordine Usa, Israele serve all'Europa

Emmanuel Navon

Imam, la lista del terrore: ecco chi sono i più radicali d'Italia

Massimo Sanvito

Francesca Albanese, la lezione pro Gaza? Verso le ispezioni in altre due scuole

Giorgia Petani

Donald Trump? "Sul jet di Jeffrey Epstein...": l'ultima bomba

Una potenziale bomba emersa dagli atti del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti: in una email interna legata al c...

Greta Thunberg arrestata a Londra: caos in centro, perché scattano le manette

La giovane attivista climatica Greta Thunberg è stata arrestata oggi a Londra mentre partecipava a una manifestaz...
Redazione

Da Tito a Tahiti: la rocambolesca vita di "Johnny Guitar"

L’attore americano Sterling Hayden (Montclair, New Jersey 1916-Sausalito, California 1986), durante il secondo con...
Sergio De Benedetti

Russia, iniziato "il massacro di Natale"? Cosa sta succedendo in Ucraina

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha lanciato un allarme sulla possibile intensificazione degli attacchi russi co...
Redazione