Ragioniamo: tra israeliani e palestinesi una pace è possibile? La pace, non una tregua che sia di quattro odi otto giorni, odi sei mesi, di un anno? Quella tregua che conviene ai calcoli di ciascuna delle parti per rafforzarsi o perché la pressione degli amici potenti, USA, Iran, emiri del petrolio, è troppo forte per dire no? Dopo il 7 ottobre, o dopo che Israele avrà cancellato Hamas (se ci riuscirà), è possibile che accada quello che non è mai stato possibile nei precedenti 75 anni, che sono stati un susseguirsi di guerre e di tregue? Oppure siamo di fronte a un conflitto che non contempla soluzioni? Diciamolo, il tempo trascorso spaventa, palestinesi ed ebrei hanno iniziato a uccidersi nel 1948, quando ancora l’Onu non aveva deciso la partizione delle terre ma si era solo cominciato a parlarne. E non hanno mai smesso, se non appunto per delle tregue. Non esistevano ancora l’Olp e le invettive di Arafat, i palestinesi, sudditi del re di Transgiordania, obbedivano alle predicazioni di Jamal Husseini, il grande amico e alleato di Hitler.
E sparavano sugli ebrei. E gli ebrei rispondevano sparando. A Tel Aviv c’era la generazione dei fondatori, costretti dalla dura realtà a riporre nel cassetto il sogno di una redenzione attraverso il lavoro. Dopo 75 anni il bilancio è desolante. Sì, alcuni Stati arabi, per convenienza, hanno accettato rapporti pacifici con Israele. Ma per palestinesi e israeliani nulla è cambiato, d’altra parte ciascuno ritiene propria la terra che gli altri rivendicano. E la crudele sintesi rimane: terrorismo e contro-terrorismo.