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Zelensky è parte in causa dei negoziati: perché si ostina ad andare ai vertici Ue?

di Giovanni Sallusti venerdì 7 marzo 2025

3' di lettura

C’è un dilemma strategico che ormai coinvolge la persona stessa di Volodymyr Zelensky, di cui è rimasto vittima lui per primo nel famigerato incontro alla Casa Bianca. Vittima lo è dall’inizio peraltro, il presidente dell’Ucraina, una nazione libera violentata nella sua sovranità: un orrore per qualunque liberal -conservatore compos sui.

È il motivo per cui da queste parti non ha mai attecchito certa retorica indulgente con l’invasore di scuola Kgb, per capirci. Riaffermato l’ovvio, resta il dilemma, figlio del cambio di paradigma imposto da Donald Trump. Il quale a sua volta è fondato nella realtà: Putin ha fallito nel suo tentativo di fagocitare Kiev con una guerra-lampo, ma il conflitto si è tramutato in una logorante guerra di trincea metro per metro, villaggio per villaggio. In questo quadro novecentesco, la Russia ha nettamente più uomini e più mezzi da scaraventare nel tritacarne. Da qui il cambio di passo di Trump: chiusura negoziale della guerra in Europa, per conclamate priorità differenti dell’America (leggasi Dragone cinese) e manifesta impalpabilità dell’Europa stessa. Se muta lo spartito (e il potere di mutarlo sta solo a Washington, dove si è deciso di esercitarlo), Zelensky non cessa di essere l’invaso, ma diventa anche una delle due parti del negoziato. Ecco il dilemma, ecco la doppia parte in commedia (qui significa in tragedia, ovviamente) che il leader ucraino non ha retto dentro lo Studio Ovale.

QUESTIONE DI STRATEGIA

Finché la sovrapposizione di ruoli divora il protagonista, è comprensibile: parliamo della carne e del sangue del suo popolo. Ma se a non riconoscere il dilemma è l’Europa, siamo di fronte all’ennesimo abbaglio della sua classe dirigente. Il dilemma oggi brutalmente suona così: ma è opportuno, è giustificato tatticamente, è intelligente strategicamente che Zelensky partecipi ai vertici europei? Ha senso politico (morale ovvio che sì, ma alle nostre latitudini dovremmo aver imparato a separare i due ambiti almeno dai tempi di Machiavelli) quello che si è visto ieri? Consiglio Europeo straordinario a Bruxelles, ventisette capi di Stato e di governo continentali, il presidente del Consiglio Antonio Costa, la presidente della Commissione Ursula Von der Leyen.

Ospite d’onore: Volodymyr Zelensky. Che non esce dal vecchio paradigma, probabilmente non può neppure, siamo al confine tra miopia strategica e fierezza stimabile, nei contorcimenti dell’animo umano. I quali però non possono diventare l’agenda dell’Europa sulla guerra e sulla pace, l’alfabeto della sua (non) leadership, l’equivoco su cui allargare, consciamente o inconsciamente (le velleità tardobonapartiste di Macron rientrano sicuramente nel primo caso) la distanza tra le due sponde dell’Atlantico.

Non (solo) due coste geografiche ma, come hanno mostrato di avere molto chiaro la premier Meloni e il governo, le due colonne valoriali all’interno dei quali solo si dà qualcosa come l’Occidente. E' interesse supremo di chiunque non voglia assistere al tramonto tanto vaticinato di questa particolare civiltà (l’unica in cui la libertà personale e politica è ovvietà quotidiana, en passant) non incrementare il fossato atlantico.

E' interesse anzitutto di Zelensky e del suo eroico popolo, che dentro lo schema negoziale trumpiano hanno la possibilità di conservare ampi territori e facoltà di autodeterminazione. $ ora quindi che l’Europa adotti questo schema sul serio, senza ritrosie astratte o peggio revanscismi inverosimili verso lo Zio Sam. Zelensky è parte in causa e dramma particolare da ricondurre a una ratio generale, teniamolo fuori dalla porta, per il suo bene.

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