La Francia si ritrova in un cul de sac, e la colpa è (anche) della condanna di Marine Le Pen. Par di leggere le cronache dell'Italia di Tangentopoli, quella travolta dall'ebbrezza manettara.
Da una parte, scrive Vincent Trémolet de Villars per Le Figaro, c'è la sinistra che, "in nome della separazione dei poteri", vorrebbe "che la giustizia imponesse alla zona grigia della politica la trasparenza della virtù. Per impedire l’illiberalismo, ogni mezzo è lecito, anche se comporta restrizioni delle libertà. È il partito della bilancia (la giustizia)". Dall'altra c'è la questione della sovranità popolare, con i partiti di centrodestra che mettono al primo posto il voto e per questo "sono pronti a sacrificare tutto, compresa la separazione dei poteri".
In questo quadro, si inserisce la condanna a 4 anni e alla ineleggibilità della leader del Rassemblement National, "ma bisogna non aver compreso nulla dello spirito del tempo per credere che la neutralizzazione elettorale di Marine Le Pen possa fermare la rivolta della classe media", scrive Trémolet de Villars.
La ferita alla democrazia francese viene da lontano e anche in questo caso ricorda molto quanto si sta verificando in Italia: "I milioni di francesi che si percepiscono come cittadini di serie B brandiscono già questa decisione come ennesima prova della loro umiliazione". I pochi (chi comanda, in testa politici di centrosinistra e magistratura) contro la maggioranza.
"La vessazione elitaria — che sia mediatica, culturale o giudiziaria — è il fertilizzante più efficace per far crescere l’insurrezione civica", ammonisce ancora l'editorialista di Le Figaro, che punta il dito contro "i garanti autoproclamati dello Stato di diritto che credevano di erigere dighe contro il populismo, senza accorgersi che il loro baluardo era in realtà uno scalino verso di esso". Un po' come chi si illude di arginare le destre riproponendo schemi fallimentari come i governi di unità nazionale e improbabili larghe intese.