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È iniziata l'era politica "post-progressista"

Se stessimo vivendo l’inizio di una nuova epoca? "Welcome to the post-progressive political era", allora. Benvenuti nell’era politica post-progressista
di Fausto Carioti venerdì 16 maggio 2025

3' di lettura

E se la crisi della sinistra nordamericana ed europea non fosse «congiunturale», per usare il vocabolario degli economisti, ma «strutturale», di sistema? Se stessimo vivendo l’inizio di una nuova epoca? «Welcome to the post-progressive political era», allora. Benvenuti nell’era politica post-progressista: scrive così, sul Wall Street Journal, un professore canadese che si chiama Eric Kaufmann e insegna politica all’università inglese di Buckingham, un’isola felice nota per il suo impegno in favore della libertà di parola. Sino al 2023 la cattedra di Kaufmann era al Birkbeck College dell’università di Londra: l’ha lasciata dopo aver subito annidi ostilità da parte di colleghi e studenti della sinistra radicale, che non tolleravano le sue opinioni su identità, immigrazione e critica al dogma «woke». E anche se nel 2024 ha pubblicato un libro con Dodici proposte per contrastare l’estremismo progressista, Kaufmann non è un trumpiano: appena un mese fa ha scritto che «se il puritanesimo “woke” è la malattia, il populismo amorale di Trump non è la cura».

All’ideologia “woke”, ricorda sul WSJ questo conservatore e liberale classico, si devono l’abbattimento di statue, la «cultura della cancellazione», la presenza di uomini negli spazi riservati alle donne (ospedali, carceri, spogliatoi: se il genere è una questione di libera scelta individuale, tutto è possibile) e una serie di politiche note come Diversità, equità e inclusione (Dei), le cui radici affondano nei programmi di «affirmative action», che garantiscono ai membri delle minoranze “adottate” dalla sinistra l’accesso preferenziale a istruzione, lavoro e appalti (non ottieni questo incarico perché sei il migliore, ma perché sei nero o omosessuale). Tutto questo, però, «ora è in ritirata». È la storia della rana di Fedro, che si gonfia sino ad esplodere. Sino a poco tempo fa «il liberalismo di sinistra sembrava destinato a segnare la fine della storia». La sinistra culturale «immaginava un grande racconto di progresso la cui prossima fase sarebbe passata dai diritti individuali a quelli di gruppo, dai diritti dei cittadini a quelli transnazionali, dai diritti gay a quelli trans». Non andrà così, invece.

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I segni sono intorno a noi, e vanno oltre gli ordini esecutivi varati da Donald Trump e i provvedimenti sulle politiche di «diversità e inclusione» che le grandi corporation hanno adottato in fretta e furia, dopo la sua elezione, per compiacerlo. I giovani statunitensi, anche se in media risultano essere più progressisti dei loro genitori, tra il 2021 e il 2024 si sono spostati a destra. Nel Regno Unito, a partire dal 2022, i dati dell’istituto YouGov registrano un netto spostamento a destra tra gli “under 25” sulla questione dei trans e sull’immigrazione. Negli ultimi due anni, sul «transgenderismo», l’opinione pubblica generale e quella delle élite si sono spostate contro la sinistra: «La sua prima sconfitta culturale in sei decenni». Anche per questo, la risposta della sinistra alla seconda elezione di Trump è stata «fiacca e disorganizzata», al contrario di quella del 2016.

Le soluzioni progressiste, insomma, almeno sotto l’aspetto culturale non funzionano più. «Mentre la sinistra economica resta rilevante, il progressismo culturale sta perdendo influenza». Vale anche per la sinistra italiana, di cui il Wall Street Journal non parla, ritenendola marginale per i suoi lettori? Finché essa ricicla i luoghi comuni di quella anglosassone ed è guidata da una leader «woke» come Elly Schlein, il cui esempio di riferimento è Alexandria Ocasio-Cortez, deputata statunitense della sinistra radicale, la risposta è sì. Anche nel caso italiano, i segnali sono chiari e abbondanti. Iniziando dalle elezioni degli ultimi anni, dai sondaggi sulle intenzioni di voto e dall’incapacità di una sinistra modello “woke de noantri” di far passare le proprie parole d’ordine nel linguaggio comune, come accadeva una volta. Ci sono buone probabilità, insomma, che anche l’Italia sia entrata nell’era «post-progressista», e dunque che Schlein sia l’ultima della sua specie, un esemplare di leader in via d’estinzione (sempre che la sinistra voglia tornare a vincere, s’intende).

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