È incandescente la situazione nella porzione occidentale della Libia, la Tripolitania, governata dalle autorità della capitale ufficiale Tripoli, che si appoggiano su milizie in rivalità fra loro. E vedendo la compagine avversaria logorarsi in lotte intestine, si frega le mani il “feldmaresciallo” Khalifa Haftar, uomo forte della parte orientale del paese, la Cirenaica, in sintonia col Parlamento che si riunisce a Tobruk e Bengasi. Da anni la Libia è spaccata in questi due potentati, con Tripoli riconosciuta dall’Onu e appoggiata dalla Turchia, mentre il governo cirenaico è sostenuto da Russia ed Egitto, ma corteggiato ora anche dall’America. Fra venerdì e sabato, nuovi scontri e violente manifestazioni nelle strade di Tripoli minacciavano l’esecutivo del premier Abdul Hamid Dbeibah, imprenditore di Misurata considerato “uomo di Ankara”. La folla ha tentato di irrompere nei palazzi ed è morto un poliziotto. Sette ministri si sono dimessi. Tutto è iniziato lunedì, quando il comandante della 444° Brigata, Mahmoud Hamza, ha ucciso a tradimento Abdel Ghani al-Kikli, detto Gheniwa, capo della milizia Apparato di Supporto alla Stabilità (Ssa), dopo averlo invitato nel suo campo militare Tekbali, a sud di Tripoli per un summit. È stata la miccia per sparatorie che hanno causato almeno 54 morti. La tensione s’è aggravata quando il premier Dbeibah ha definito l’uccisione di Al Kikli «passo necessario per porre fine a una realtà che ha violato troppo la legge, associata a violazioni dei diritti umani».
“Gheniwa” era nel mirino di Amnesty International per abusi, torture e uccisioni. Il premier ha inoltre ordinato lo smantellamento della milizia Rada, guidata da Abdul Raouf Kara, il che ha fatto scoppiare combattimenti fra la 444° e la stessa Rada. Di quest’ultima fa parte anche Osama Al Masri, ricercato dalla Corte penale internazionale per violazioni dei diritti umani e che nei mesi scorsi aveva visitato molti paesi europei, salvo venir segnalato solo quando passava dall’Italia. I dimostranti anti-Dbeibah sono sostenitori della Rada, provenienti dal quartiere tripolino di Souq Al Juma. In favore del premier sono invece i suoi concittadini di Misurata. E resta fragile il cessate il fuoco “garantito” da altri due reparti, le “neutrali” 53° Brigata Indipendente e 166° Battaglione. Ben si vede come le forze armate della Tripolitania siano un agglomerato di bande rivali nel gioco d’ambizioni dei “signori della guerra”.
Al contrario, l'esercito di Haftar, il Libyan National Army, vanta un’unità di comando e struttura, oltre al solido retroterra strategico della frontiera egiziana e dei rifornimenti aeronavali da parte russa. Ciò basta a far capire quanto, alla lunga, siano i poteri di Bengasi e Tobruk favoriti nel ristabilire una più salda unità della Libia. E Washington se ne sta accorgendo. Negli ultimi giorni si sono segnalati movimenti di truppe di Haftar in direzione di Sirte, forse in preparazione di un’offensiva verso Tripoli in caso di collasso del campo nemico. Con lo stesso Haftar stanno reintessendo rapporti gli Stati Uniti, che un mese fa hanno mandato una nave da guerra a far visita non solo a Tripoli, ma anche a Bengasi.
S’intravede un tentativo di Donald Trump di rivaleggiare con Russia ed Egitto nell’appoggio al “feldmaresciallo” dell’Est, verso cui il presidente Usa mostrava simpatia già nel suo primo mandato. Anche per questo la Casa Bianca ha lanciato l’ipotesi di far ospitare alla Libia i palestinesi di Gaza. Col rischio però che vadano a ingrossare le file dei disperati che affluiscono sulle coste libiche per tentare poi la traversata coi barconi fino all’Italia.