«Sera di primavera e di massacri»: il verso ossessivo vibra nella mente di Daniel Varujan, giovane e fulgido poeta, mentre si avvia al proprio destino. Quella notte di massacri è forse proprio quella del 24 aprile 1915, forse è una delle innumerevoli notti di sangue e di morte che segnano il trascorrere dei mesi. Un anno dopo anche Daniel finirà inghiottito negli «abissi» in cui precipitano a milioni, nelle chiese si accatastano «innumerevoli cadaveri innocenti», una strage che si consuma sotto un cielo di piombo, in un fuoco di odio e di morte che sembra inestinguibile... È il tempo del Metz Yeghém, il Grande Male, che però non ha cessato di gettare la sua ombra di tenebra. Per decenni le famiglie armene, disperse nel mondo, si sono sentite unite, ovunque fossero, proprio nel ricordo di quell’ombra che ha spazzato via legami, storie, ricordi, che ha tentato di annientare un intero popolo. Il Secolo Breve, il Novecento, ha avuto inizio, oltre con i massacri della Grande Guerra, con il genocidio degli armeni da parte del governo dei Giovani Turchi, che si stima abbia provocato oltre un milione e mezzo di morti.
Quel Male non è passato, anche perché si tenta, continuamente, di negarne la memoria. Poeti, scrittori, cantanti, artisti, politici, persone di ogni estrazione sociale e di ogni età tentano di impedire questo processo di cancellazione. Vittorio Robiati Bendaud, scrittore, docente, coordinatore del Tribunale Rabbinico del Centronord Italia, con dolente passione racconta e analizza la storia e le cause di questo dramma, ma ne mostra anche la bruciante attualità, nel libro Non ti scordar di me. Storia e oblio del Genocidio Armeno edito da Liberilibri (pp. 216, euro 18) con una introduzione di Paolo Mieli. Il genocidio armeno infatti è «tuttora in essere» nonostante un «negazionismo, magistralmente perseguito e realizzato», scrive l’autore. Un negazionismo che è «parte costitutiva, anzi essenziale del processo genocidario», ribadisce Mieli, e che «ha permesso, ai nostri giorni, il riattivarsi di politiche belliche contro gli armeni». Il Metz Yeghém, o il Grande Male, consumatosi fra il 1915 e il 1921 e finalizzato all’annientamento della popolazione armena, è stato definito il peccato originale del Novecento.
Tragedia ancora in essere? Sì, perché gli armeni sono tuttora sotto l’attacco di Ankara e di Baku, come ricorda l’autore, sono vittime di pulizia etnica e di etnocidio nei territori dell’Artsakh (o Nagorno-Karabakh) terra a lungo contesa da Armenia e Azerbaigian, nel silenzio quasi assoluto della comunità internazionale.
Ricordare quanto accaduto, ripetere che è accaduto, «è un dovere di verità che nessun Paese può negare». Così ha sottolineato il presidente della Camera dei deputati, Lorenzo Fontana, in occasione della recente presentazione del libro a Roma, a Palazzo San Macuto, «Considerati per un certo periodo sudditi fedeli, i cristiani armeni e assiro-caldei furono trasformati in nemici», ha detto ancora Fontana. «Non si trattò di una violenza improvvisa, ma dell'esito di un processo lungo e consapevole, frutto di un pericoloso intreccio tra nazionalismo e rivendicazioni ideologiche». Oggi il ricordo, ha concluso, «è anche un richiamo a tutti noi a rafforzare concretamente gli strumenti che promuovono il dialogo e la cooperazione internazionale».
Tra gli altri interventi, il ministro Carlo Nordio ha detto: «Nel mondo della storia troppo spesso quello che non è stato documentato è come se non fosse mai esistito. Il genocidio degli armeni fa parte di questo catalogo buio di omissioni». Il libro sarà presentato anche a Milano, al teatro Franco Parenti, il 10 giugno prossimo. Spiega dunque l’autore che «il genocidio armeno è lo snodo della contemporaneità, e forse anche la sua nascita: dal suicidio dell’Occidente all’islamismo totalitario; dal tradimento dei cristiani d’Oriente sino all’abbandono contemporaneo alle loro sorti degli armeni dell’Artsakh (Nagorno-Karabakh), per giungere all’antisionismo/antisemitismo attuale. Tanto bene ha funzionato il negazionismo da espungere dall’immaginario e dalla comprensione comune dei cittadini del mondo libero questa prospettiva!».
LA LEZIONE DI HITLER
«Chi si ricorda degli armeni?» affermò crudamente Hitler, che da quanto successe a questo popolo trasse “ispirazione” anche per pianificare l’atroce Shoah. Parole che hanno comunque un’eco da vaticinio. E noi, oggi, ci ricordiamo degli armeni? Eppure quella storia, quella cultura sono strettamente intrecciate alla nostra, sia in Italia che in tutto l’Occidente. Pensiamo a Padova, la Padova di Antonia Arslan - la scrittrice che ha fatto conoscere l’Armenia e il genocidio grazie ai suoi meravigliosi romanzi e alla sua infaticabile e appassionata opera di testimonianza e di traduzione di opere e autori - ricca di luoghi che riverberano la presenza armena, come il Palazzo Zocco, che si affaccia sul Prato della Valle, palazzo che per decenni ha ospitato un collegio armeno. E Venezia e la sua laguna, con l’isola di San Lazzaro degli Armeni, con il monastero mechitarista sorto nel 1717, custode di tesori di ogni genere, amato da Lord Byron, e da migliaia di visitatori lungo i secoli. Senza contare i tanti palazzi, calli, piazzette che disegnano la vasta topografia veneziano-armena. E poi a Roma, a Milano, a Bari, in Francia, in Grecia, in Libano e nel mondo, nella speranza che questa fitta rete di luoghi e di storie non diventi una terra abitata solo da fantasmi.