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Tutto lo spirito british raccontato in 52 voci: cosa significa essere inglesi

Dalla a di “alcol” alla y di “young” uno studioso spagnolo descrive, parola per parola, cosa voglia dire essere inglesi
di Maurizio Stefanini sabato 31 maggio 2025

4' di lettura

Churchill... diceva di aver preso dal bere molto più di quanto il bere avesse preso da lui». «La vecchia boutade wildiana, secondo cui il cattolicesimo è una religione di santi e peccatori, mentre l’anglicanesimo è roba da persone rispettabili». «Dalla Spagna all’Irlanda, dall’Argentina alla Persia, l’anglofobia è stata una passione universale, ma solo la Francia è riuscita a sublimarla in un genere letterario». «L’aristocrazia è stata un’invenzione utile se accettiamo che, in pratica, come sottolinea Roger Scruton, era un modo per distinguere le persone non tanto per la crudezza del denaro e della gerarchia quanto per mezzi più sottili come l’istruzione». «Se vogliamo sapere perché l’Aston Martin è diventata la rivendicazione di una certa essenza inglese, basta confrontarla con una qualsiasi Ferrari: laddove la sportiva italiana è di un rosso o un giallo che dice «guardatemi», con i suoi fari che emergono dal cofano come la pinna di uno squalo, l’Aston Martin pare sempre mostrarsi come una potenza di serena, contenuta maestosità, come un purosangue in stato di calma».

E così via.... Paese che ha lanciato la modernità col liberali«C smo e il sistema parlamentare, esportatore di mode da Lord Brummel e dal calcio ai Beatles e alle Spice Girls, l’Inghilterra è allo stesso tempo un Paese che mantiene ostinati tratti distintivi arcaizzanti: dalla monarchia alla nobiltà passando per la guida a sinistra o il suo sistema di misurazione. Una terra un po’ paradossale, che in modo in apparenza altrettanto paradossale in questo Anglofilia. Piccolo glossario sentimentale della cultura inglese (Graphe.it, 414 pp., € 20,90) è presentata agli italiani da uno spagnolo con la presentazione di un Accademico di Francia. Ma tutto ha una chiave. Nato a Madrid nel 1980, giornalista politico e culturale per varie testate dopo aver studiato Lettere e biblioteconomia presso l’Università Complutense di Madrid, Ignacio Peyró ha una traiettoria intellettuale di vasto respiro: dalla traduzione di Kipling a libri di cucina, passando per una biografia di Julio Iglesias, l’appartenenza al Cons i gli o dell’agenzia di stampa Efe e l’incarico di consigliere e speechwriter del primo ministro spagnolo.

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Soprattutto, però, lavora con l’Istituto Cervantes, la grande istituzione incaricata di promuovere la cultura spagnola nel mondo. In passato è stato appunto direttore dell’Istituto Cervantes di Londra, e a quell’esperienza è legata la redazione originale di questo libro in spagnolo, nel 2014. Ma adesso è direttore dell’Istituto Cervantes di Roma, e appunto ha così pensato a aggiornare il tutto per un pubblico italiano. L’introduzione è poi del suo vecchio amico Maurizio Serra. Italianissimo: come diplomatico di carriera ha anzi rappresentato l’Italia tra l’altro all’Unesco e alle organizzazioni internazionali di Ginevra. Ha però scritto una quantità di libri spesso in originale in francese, anche se per presentare protagonisti della cultura italiana come Malaparte, D’Annunzio e Svevo. Ha dunque vinto il Premio Goncourt, e dopo la morte di Simone Veil ne ha preso il posto all’Académie française - primo italiano a ricoprire la prestigiosa carica a vita dell'istituzione culturale di Parigi.

Recente Premio Arbasino, Serra ricorda che il lettore è invitato da Peyró a inoltrarsi «non in una serie di medaglioni chiusi e autosufficienti bensì in un percorso in cui ogni voce ne richiama un’altra e tutte confluiscono in un disegno organico, polifonico, ancorché personalissimo». Dalla A alla Z, dunque, o meglio, dalla A alla Y, visto che le 52 voci vanno appunto da Alcol: «Marin e Moira Plant notano il ruolo centrale che l’alcol ha avuto per secoli nella vita britannica: “Ha portato all’ascesa e alla caduta di governi, finanziato guerre, provocato disordini civili e persino atti di terrorismo. Naturalmente ha anche causato innumerevoli ore di gioia”». A Young Fogeys: la gioventù che «di fronte a una modernità opprimente», all’inizio degli anni Ottanta «vestita con gli abiti di flanella del nonno, con un bagaglio che non era altro che l’opera completa di Ruskin e un ombrello col manico di bambù, avanzava con il passo fermo assicurato dalle sue scarpe di Northampton per riportare il mondo all’epoca del suo massimo splendore. L’epoca vittoriana ovviamente».

E poi le cabine telefoniche rosse e le cassette postali il Big Ben, monumento più famoso. La rivalità tra Cambridge e Oxford. I cappelli e gli ombrelli. L’impero, la monarchia e la Union Jack. Dall’English Gentleman, il tipo di uomo perfetto difficile da definire, ai pub, locali che sono il cuore dell’Inghilterra. Dal rugby con le regole di un antico codice d’onore al tè, la sostanza medicinale più importante e potente della Terra, che ha avuto il merito di aver trasformato gli inglesi da un popolo di umori bellicosi a uno di raffinata civiltà.

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