Sulla carta sarebbe una “partnership senza limiti”, quella più volte rivendicata da Vladimir Putin e Xi Jinping. Nella realtà però, il rapporto tra Russia e Cina somiglia molto più a un matrimonio di convenienza che a un atto di fede. Lo dimostra il fatto che, nel letto coniugale, entrambi preferiscano dormire tenendo almeno un occhio aperto. E lo suggeriscono bene i rapporti segreti dell’FSB che il gruppo hacker Ares Leaks ha rivelato al New York Times.
Il documento elaborato dai russi un anno e mezzo fa definisce la Cina non semplicemente come un rivale, ma una vera e propria realtà ostile, segnalando così l’alto livello di allerta dell’apparato di sicurezza russo. Questo approccio riflette la preoccupazione crescente che Pechino stia sfruttando l’alleanza per ottenere vantaggi unilaterali senza alcun vincolo reale di reciprocità. Le accuse sono circostanziate e dettagliate: secondo l’FSB, la Cina starebbe conducendo un’aggressiva campagna di «spionaggio industriale, scientifico e militare», puntando su: reclutamento di scienziati russi vulnerabili; infiltrazione in programmi sensibili legati alla guerra in Ucraina; raccolta di dati su tecnologie militari avanzate.
Particolarmente significativi sono i timori riguardo alle rivendicazioni territoriali sulla Siberia orientale e all’uso strategico di coperture civili – come imprese minerarie o progetti universitari – per espandere l’influenza cinese in territori che Mosca considera cruciali per la propria sicurezza nazionale. L’FSB tra l’altro, tramite il programma di controllo denominato “Entente-4”, aveva già iniziato a considerare la Cina una minaccia prima del conflitto in Ucraina.
Questa frattura profonda tra la leadership politica del Cremlino – apparentemente orientata verso un avvicinamento sempre maggiore a Pechino – e i timori dell’intelligence interna, indica «una divisione strategica» all’interno dello Stato russo. Mentre Putin vede nella Cina un’ancora geopolitica contro l’Occidente, i servizi segreti paventano il rischio di un’infiltrazione lenta ma sistematica, in grado di erodere l’autonomia tecnologica, militare e territoriale della Russia. Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca poi, c’è il rischio che possa formarsi una fronda nella fronda, tra quanti potrebbero iniziare a vedere di buon occhio gli inviti da parte americana ad iniziare una cooperazione in aree strategiche come la nuova corsa allo spazio, lo sfruttamento di terre rare e lo sviluppo dell’IA. Del resto, il rinnovato dialogo Mosca-Washington sta dimostrando di poter affrontare anche dossier scomodi, come ad esempio la strategia di contenimento della corsa al nucleare iraniano.
Il cosiddetto “asse autoritario” (tra Russia, Cina, Corea del Nord e apounto Iran) non è un blocco monolitico ma un’alleanza fluida, permeabile a pressioni esterne e segnata da vulnerabilità interne. La crescente dipendenza russa, il calcolo prudente cinese e l’assenza di impegni formali rendono possibile, specie per gli Usa, l’avvio di strategie di “contenimento e divisione” oltremodo efficaci specie se basate sulla diplomazia e sul rafforzamento dell’autonomia strategica dei singoli Paesi vicini a entrambi.
Al contrario, una relazione “tossica” come quella tra Russia e Cina, potrà sì durare finché serve ad entrambe, ma non sembra costruita per reggere le vere crisi sistemiche o i cambi di paradigma che attendono il mondo multipolare. In questo senso, la retorica dell’amicizia eterna rischia di rivelarsi la più sottile delle pareti, destinata a cadere al primo soffio contrario del vento della storia.