Alla fine non dovrebbe cadere, un po’ perché le parti in causa si sono messe a lavorare a un compromesso, un po’ perché i partiti della maggioranza, soprattutto quelli religiosi, non s’arrischiano a nuove elezioni dall’esito incerto. Oggi il governo di Benjamin (Bibi) Netanyahu non è troppo popolare in Israele, anche se ieri il premier ha incassato dal presidente argentino Javier Milei l’impegno a spostare la sede diplomatica di Buenos Aires da Tel Aviv a Gerusalemme entro il 2026.
Ma se è vero che il Bibi nazionale ha dimostrato di avere più vite di un gatto, è anche vero che tutti gli opinionisti oggi lo vedono scalzato in un ipotetico voto dall’ex premier Naftali Bennet, nazionalista e inflessibile con Hamas come e più di Bibi ma più religioso di lui. Crisi evitata per adesso per il Bibi VI: la coalizione fra i moderati del Likud, i partiti religiosi e gli ultranazionalisti di destra, scrive Yediot Ahronoth, dovrebbe avere la vita salva dopo che i partiti guidati dai rabbini hanno rinunciato a depositare una bozza formale di disegno di legge per un esonero generalizzato degli studenti religiosi dal servizio militare (tre anni in Israele per i ragazzi, due per le ragazze) accontentandosi di una dichiarazione di principi. Dichiarazione che adesso passa all’esame di Yuli Edelstein, presidente della commissione Difesa ed Esteri della Knesset, chiamato dal governo a trovare una quadra tra i fronti opposti e trasversali: tra chi, cioè, esige che anche i charedim dai cappelli e i cappotti neri imbraccino il fucile per difendere il paese e i partiti religiosi secondo gli esonerati possano salveranno non il corpo ma l’anima di Israele continuando a studiare la Torah senza distrazioni belliche.
Ma oggi con circa mille militari caduti e 13mila feriti dal 7 ottobre 2023 in un Paese impegnato nella guerra più lunga della sua storia, chi chiede la leva per tutti resta scettico sulle intenzione degli ultraortodossi. E poiché lo scetticismo è trasversale ai partiti di destra, di centro e di sinistra, i religiosi hanno interesse ad alzare la voce ma ad evitare il voto. La loro speranza è di ottenere una nuova legge sull’esonero non generalizzata ma “caso per caso”.
Sullo sfondo restano le parole pronunciate ieri dal capo di stato maggiore delle forze armate Eyal Zamir secondo cui le Israel Defense Forces (Idf) «hanno bisogno di più manodopera militare per alleggerire il pesante onere posto sui riservisti: stiamo apportando adeguamenti e stabilendo nuove formazioni di servizio obbligatorio e di servizio di riserva».
Ieri, sul fronte di Gaza, a Khan Younis, le Idf hanno recuperato i corpi di due ostaggi israeliani, Yair Yaakov e un altro la cui identità sarà resa nota dopo gli accertamenti genetici e necroscopici. Sul piano diplomatico ieri a far notizia è stata la Siria ossia l’interesse espresso da Netanyahu all’inviato statunitense Tom Barrack a negoziare con il nuovo governo siriano un accordo di sicurezza aggiornato e a lavorare – sempre con la mediazione Usa – per raggiungere un accordo di pace. Due funzionari israeliani hanno rivelato ad Axios che, quando l’ex militante islamista Ahmed al Sharaa ha rovesciato il regime di Assad, Israele ha risposto con ondate di attacchi aerei per distruggere ciò che restava di aeronautica, marina, difesa aerea e sistemi missilistici siriani. Israele ha anche preso il controllo della zona cuscinetto tra i due Paesi, alle pendici del monte Hermon. Il governo Netanyahu teme poi non tanto il profilo da ex jihadista di al Sharaa quanto la sua vicinanza al presidente turco Recep Tayyip Erdogan, sponsor ufficiale del rovesciamento del vecchio regime filoiraniano di Damasco ma anche severo castigatore di ogni politica israeliana. Ecco perché – scrive Axios – gli iraniani sono rimasti scioccati quando il presidente Usa Donald Trump ha incontrato al-Sharaa a maggio in Arabia Saudita annunciando la revoca di tutte le sanzioni statunitensi imposte alla Siria. Una mossa con cui la Casa Bianca vuole assicurarsi che Damasco non torni nell’orbita russa ma che obbliga Israele a un nuovo rapporto con un vicino dal curriculum controverso. Il governo Netanyahu avrebbe dunque già iniziato a interagire con le autorità siriane, prima indirettamente scambiando messaggi tramite altri soggetti, e poi direttamente con incontri segreti in Paesi terzi. Un alto funzionario israeliano ha dichiarato ad Axios la scorsa settimana che al Sharaa è meno ostile di quanto Israele pensasse e non prende ordini da Ankara. «Per noi è meglio che il governo siriano sia vicino agli Stati Uniti e all’Arabia Saudita», ha affermato un funzionario.
Intanto Netanyahu ha portato l’inviato Usa Barrack a visitare la zona di confine con la Siria, sulle alture del Golan, e sul versante siriano del Monte Hermon. Una settimana prima Barrack era a Damasco dove ha incontrato al-Sharaa e riaperto la residenza dell’ambasciatore statunitense.