Si pensa spesso - e a ragione che il sistema politico italiano sia tra i più difficili da gestire per chi ricopre il ruolo di capo del governo. Capita però che nel contesto europeo ci siano nazioni che, per quanto più piccole e più efficienti rispetto al modello pubblico italico, forgiano le capacità di compromesso e di sopravvivenza e i Paesi Bassi sono tra queste.
Quindi tanto di cappello a Mark Rutte per essere diventato il primo ministro più longevo nella storia olandese con una serie di mandati compresi tra il 2010 e il 2024 che gli sono valsi l’appellativo di «Teflon Mark». Piccola parentesi scientifica: il teflon è il materiale sintetico usato per rivestire padelle e pentole per le sue proprietà antiaderenti e di resistenza termica e chimica. A Rutte tutto è scivolato addosso, dalla crisi agli scandali piccoli o grandi di governo.
Una parola vale più di mille concetti, ma se proprio ne occorresse uno per rimarcarne le abilità diplomatiche, ecco la strategia enunciata nel 2019, quando il primo mandato di Donald Trump regalava già colpi di scena: «A volte bisogna ballare con chi si trova sulla pista, non sempre abbiamo una scelta», proclamava in un discorso per un evento su Winston Churchill dell’Università di Zurigo. Un baluardo rilanciato lo scorso anno, mentre montava la paura del ritorno trumpiano: l’Unione europea deve smettere di «lamentarsi, brontolare e piagnucolare su Trump, la scelta spetta agli americani: dobbiamo lavorare con chiunque si trovi sulla pista da ballo».
Una presa di posizione netta e chiara quando ancora indossava, nel febbraio 2024, i panni del primo ministro dei Paesi Bassi ed espressa alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera, quella da cui un anno più tardi il vicepresidente americano J. D. Vance avrebbe scosso l’élite del Vecchio Continente denunciandone l’approccio classista e non apertamente democratico.
Pochi mesi dopo, il 1° ottobre 2024, Rutte è diventato segretario generale della Nato, battendo anche la concorrenza dell’ex collega estone Kaja Kallas, poi nominata alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri ed oggi in guerra con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sul tema dei diritti umani. Kallas si autocandidò: «Il prossimo segretario generale dovrebbe provenire da uno dei nuovi membri della Nato, dovrebbe essere di un Paese che spende almeno il 2% del proprio Pil per la difesa e sarebbe bello se fosse una donna». «Quindi è logico che debba essere Mark Rutte», concluse il ragionamento con una risata ironica.
Qualunque fosse il motivo dell’ironia di Kallas, Rutte è con tutta probabilità l’uomo giusto al posto giusto perché, come dimostra la sua carriera politica fatta di coalizioni che si formavano e ricomponevano con lui sempre in testa, è finora riuscito a tenere a bada Stati Uniti e resto della Nato sullo spinoso aspetto della spesa militare dei singoli alleati. «L’Europa pagherà alla grande, come è giusto che sia, e sarà una tua vittoria», è una parte del messaggio privato inviatogli da Rutte che il presidente americano ha reso pubblico: si passa dal due al 5% in rapporto al Pil e per comunicarlo il segretario generale si è adeguato al linguaggio trumpiano, con quel «grande» scritto tutto in maiuscolo. L’arte di destreggiarsi di un uomo tranquillo, che raggiungeva l’ufficio in bicicletta, della cui vita privata non si sa nulla (niente famiglia) e che anche da capo del governo dedicava il sabato al mestiere di insegnante di storia in una scuola media.
Gli italiani l’hanno conosciuto bene in piena pandemia di Covid-19, quando sollevò obiezioni sui prestiti europei destinati al nostro Pnrr temendo che fossero destinati a non tornare indietro: l’eterno scontro tra i Paesi virtuosi del Nord e quelli spendaccioni del Mediterraneo. A proposito di Ue, è stato confessore dei malumori espressi dall’ex primo ministro britannico David Cameron perché i vertici di Bruxelles non volevano accettare le sue richieste di riforme che avrebbero evitato il referendum sulla Brexit: Rutte condivideva le perplessità, ma mentre il primo è rimasto vittima della sua promessa referendaria, lui ha continuato a dare le carte.
Oggi, rispetto a cinque anni fa, ha instaurato un buon rapporto con Giorgia Meloni, ringraziandola per l’impegno con l’Ucraina ed elogiando l’intero comparto industriale militare italiano, dalla grande realtà di Leonardo a tutto il tessuto delle piccole e medie imprese che le ruotano attorno. Un ottimo ballerino che detta il tempo in pista.