Lets trans kids play. Lasciate giocare i bambini trans. No more. Non più. La notizia arriva direttamente dagli Stati Uniti d’America e impatta sul mondo gender e affini. L’Università della Pennsylvania ha dovuto cancellare tutti i primati natatori femminili stabiliti dall’atleta trans Lia Thomas. Balzato agli onori delle cronache nel marzo 2022 quando ha iniziato a dominare nelle competizioni, in stile libero - è proprio il caso di dirlo - dei 100, 200 e 400 metri tra le corsie della piscina, diventando il primo sportivo transgender a conquistare un titolo Ncaa. Ovvero il più importante alloro a livello collegiale nella galassia a stelle e strisce. Il tutto nasce dal Dipartimento dell’Istruzione che aveva avviato, tempo addietro, un’indagine sulla questione sollevando il problema, sostanziale, dell’atteggiamento adottato dall’università che ha, senza mezze misure, violato i diritti delle altre atlete in gara.
Proprio il presidente statunitense, Donald Trump, fin dalle prime battute del suo secondo mandato ha ribadito la necessità imprescindibile di escludere gli atleti trans dalle competizioni femminili, firmando un relativo ordine esecutivo pochi giorni dopo la sua elezione. Una vittoria non solo per lo sport, ma principalmente per le donne.
IL DIPARTIMENTO
Il college, a questo punto, è stato costretto a trovare un’intesa con il Dipartimento chinando il capo e accettando di riportare i record ai tempi pre-Thomas restituendo, inoltre, i titoli indebitamente sottratti alle nuotatrici vittime dell’imbroglio. L’ateneo UPenn, sul suo sito internet, ha riconosciuto i propri errori, scusandosi “con coloro che hanno subito uno svantaggio competitivo o hanno provato ansia a causa delle politiche in vigore all’epoca”.
Ma l’istituzione scolastica della Pennsylvania non è l’unica su cui l’amministrazione Trump ha aperto un’investigazione per possibili violazioni del Title XI. Una legge sviluppata sulla tematica dei diritti civili, introdotta nel 1972, che vieta le discriminazioni basate sul sesso in programmi o attività educative che ricevono finanziamenti federali. Seguendo questa linea la Casa Bianca ha stoppato 175 milioni di dollari di sovvenzioni statali (quasi 150 milioni di euro) pronti per essere destinati agli atenei per via della loro politica sugli sportivi transgender. Il Segretario all’Istruzione degli Stati Uniti, Linda McMahon, secondo quanto riporta la BBC ha dichiarato che “l’accordo di risoluzione firmato con UPenn è un altro esempio dell’effetto Trump in azione”.
RESPONSABILITÀ
Lia Thomas aveva gareggiato per tre anni, fino alla primavera 2019, con la formazione maschile universitaria di nuoto prima di iniziare la terapia ormonale che l’ha portato a infrangere tutti i record in rosa della scuola. Una scorciatoia dove nessuno vince, ma tutti perdono. “Il più grande equivoco”, ha dichiarato tre anni fa ai microfoni di ESPN, “credo, è il motivo per cui ho fatto la transizione”. Perché a sua detta “la gente dice: ‘Oh, ha fatto la transizione solo per avere un vantaggio, per poter vincere’. Ho fatto la transizione per essere felice, per essere fedele a me stessa”. Nessuno mette in dubbio queste parole. Nessuno mette sul banco degli imputati il perenne desiderio dell’io imposto sul noi.
Ma il nesso è tutto in un’epoca che riconosce solo i diritti, esclusivamente quelli civili (quelli sociali vadano al diavolo), dimenticandosi dei doveri e delle responsabilità. L’unico record infranto è il primato contro il concetto di femminile. Che viene scardinato mettendo al centro del cerchio di fuoco l’identità in modo da essere gettata al rogo. È proprio dal fuoco che dobbiamo ripartire. Perché accendendolo riponiamo al centro la figura dell’uomo e della donna in un atto di fondazione che sembra scontato, ma non lo è. La decostruzione dell’individuo, e di conseguenza della comunità, diventa la minaccia con il volto del domani. Questo progresso divenuto uno sconosciuto. Dove essere padri ed essere madri è un tabù. Dove la bracciata di un maschio cancella la nuotata di una ragazza piena di sogni. Oppure un peso più pesante e più ingombrante viene sollevato sopra la testa di un’atleta - ci ricordiamo tutti il caso di Laurel Hubbard, il pesista trans neozelandese - per infrangere i sogni di vittoria e di affrancamento.
L’ateneo della Pennsylvania, alla fine, ha cercato di difendersi facendo notare che la popolazione degli atleti transgender universitari è decisamente risibile. Ncaa, infatti, ha dichiarato che parliamo di circa una decina di sportivi. Eppure è qui davanti a questa dozzina scarsa che si pone il quesito delle libertà intrise nel XXI secolo. Dove iniziano, dove finiscono? Questa volta, quantomeno, non affondano sul fondo di una piscina perché hanno imparato a nuotare.