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I voti Usa sulla libertà: bocciate Parigi e Berlino

di Dario Mazzocchi venerdì 15 agosto 2025

3' di lettura

Se soltanto martedì Donald Trump aveva attribuito il massimo dei voti al vertice con i partner europei in vista dell’importante incontro di oggi con il presidente russo Vladimir Putin sull’Ucraina, ieri da Washington è arrivata una bruciante bocciatura per alcuni Stati, tra cui Regno Unito, Germania e Francia, sulla libertà di espressione garantita ai loro cittadini. Il giudizio è contenuto nel report annuale sui diritti umani redatto dal Dipartimento di Stato che ha scatenato la dura reazione di alcune capitali, Berlino in testa.

Nel documento si legge infatti che «tra le principali problematiche in materia di diritti umani» figurano le «segnalazioni attendibili di gravi restrizioni alla libertà di espressione»: un’accusa dai funzionari americani di un arretramento nella tutela della libertà di parola che si allinea alle dichiarazioni con cui il vicepresidente J. D. Vance si era rivolto alla platea del summit sulla sicurezza mondiale di Monaco di Baviera dello scorso febbraio.

Colpiscono i passaggi dedicati alla situazione britannica, decisamente «peggiorata» nel 2024: non ci sono riferimenti espliciti, ma un caso portato alla luce dall’indagine è quello che coinvolge Lucy Connolly, condannata a due anni e mezzo di galera per alcuni post su X in cui chiedeva a gran voce l’espulsione degli immigrati nei giorni successivi alla strage di Stockport, quando tre ragazzine furono uccise dal diciassettenne di origine ugandese già sospettato di terrorismo. Una forma di incitazione all’odio per le autorità britanniche, costata cara all’incensurata Connolly, ex bambinaia.

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Un quadro ben diverso da quello italiano, dove la libertà di espressione è garantita «anche per i membri della stampa e degli altri mezzi di informazione e il governo ha rispettato questo diritto»: un sistema democratico – con buona pace delle anime progressiste – che «contribuisce a promuovere la libertà di espressione». La censura sulle piattaforme social è uno dei motivi per cui il Dipartimento di Stato ha sollevato dubbi anche sulla situazione in Germania: il governo tedesco «ha imposto restrizioni alla libertà di espressione dei gruppi considerati estremisti» alle quali si aggiungono le condanne e gli arresti di alcune persone per incitamento all’odio razziale e la sensazione di un crescente antisemitismo dovuto alla presenza sempre più forte delle comunità di immigrati. L’analisi ha spinto Jens Spahn, presidente del gruppo parlamentare Cdu/Csu, partito guidato dal cancelliere Friedrich Merz, a contestare la posizione americana: «In Germania tutti possono dire ciò che pensano, è un Paese libero», ha dichiarato all’emittente Welt. Le irritazioni europee delle ultime ore non si limitano al report sui diritti umani, ma hanno creato un caso politico in Polonia: al vertice di martedì, infatti, a rappresentare la politica estera di Varsavia è stato il presidente Karol Nawrocki e non il primo ministro Donald Tusk, con il pieno appoggio della Casa Bianca.

Un amaro boccone da ingoiare per quest’ultimo, che non ha mai nascosto i dissapori con il capo di Stato, indipendente ma vicino alle posizioni del partito di destra euroscettica Diritto e Giustizia che ha ribaltato i pronostici alle recenti elezioni presidenziali di maggio vincendo di misura sul rivale di Piattaforma civica, il partito di Tusk. A poche ore dall’importante appuntamento, Cezary Tomczyk, il deputato di Piattaforma civica, si era domandato ironicamente quale fosse il ruolo di Nawrocki sulla questione ucraina, salvo poi emergere che lo staff di Trump aveva identificato proprio nel presidente il rappresentante dei vertici polacchi con cui confrontarsi sulla delicata materia. Dagli uffici governativi invece arrivavano indicazioni sul fatto che il ruolo sarebbe stato svolto da Tusk: una figuraccia che richiede un esame di riparazione a settembre. 

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