Era difficile aspettarsi qualcosa di diverso dall’Ipc, che è l’Integrated food security phase classification, cioè una rete internazionale che si occupa di monitorare la fame nel mondo, e che, soprattutto, è un organismo sostenuto dalle Nazioni Unite. Era difficile perché l’Onu ha dimostrato più volte di non essere tra i primi (e neanche tra gli ultimi) difensori di Israele, ma era difficile pure perché, che si stava andando in questa direzione, era dichiarato da settimane.
L’Ipc aveva già suggerito che a Gaza fosse in corso una “carestia”: mancava l’ufficialità ed è arrivata ieri con l’ultima classificazione, quella alla “fase 5”, il livello più alto, la quale ha incassato (manco a dirlo) la conferma immediata di Hamas e la reazione scandalizzata del Palazzo di Vetro. Peccato che non torni proprio tutto. Tom Fletcher, il responsabile umanitario dell’Ipc, tanto per fugare ogni dubbio, nello spiegare urbi et orbi che sarebbero a rischio «123mila bambini sotto i cinque anni», quelli che da qui fino al prossimo giugno potrebbero soffrire di «malnutrizione acuta» e quelli a cui ne andrebbero aggiunti altri 41mila che lui prevede soffriranno di denutrizione «grave», specifica che nella Striscia si muore di fame perché questa è «apertamente promossa da alcuni leader israeliani come armadi guerra».
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Mario Draghi, ex presidente della Bce ed ex presidente del Consiglio, ospite al Meeting di Rimini, rivela di avere &laqu...Vaglielo a spiegare, adesso, a Fletcher, che il rapporto che sconfessa la sua impostazione ce l’ha in casa, è quello redatto dall’Unops, l’Ufficio dell’Onu per i servizi ai progetti, che dal 19 maggio all’11 agosto ha contato appena 351 camion di aiuti umanitari effettivamente arrivati ai civili gazawi da Gerusalemme ma non perché gli israeliani ne abbiano bloccati altri, semmai perché i restanti 2.816 delle spedizioni sono stati intercettati dai miliziani col mitra e la fascetta verde sulla fronte. Vaglielo a dire, oppure vaglielo a raccontare che solo gli aiuti di maggio contano 5mila tonnellate di cibo per bambini, che otto derrate su dieci sono di generi alimentari, che i video, le immagini e i post sui social network slegati dalla propaganda propal raccontano un’altra storia: non servirà a un granché, tra l’altro considerato che la decisione dell’Ipc è falsata da una questioncina che si chiama “rivisitazione degli standard”, che vale solo per la situazione di Gaza e che, quindi, di serio ha poco o niente.
Il Washington free beacon, che è un sito di informazione indipendente Usa, ha denunciato, nei giorni scorsi, che, per scrivere quel report, l’Ipc ha abbassato la percentuale dei bambini che devono essere considerati malnutriti per ottenere la qualificazione di carestia, ne ha cioè sforbiciato la soglia dal 30 al 15%, e ha introdotto, per provarla, un parametro, il mid-upper arm circumference, ossia la misurazione della circonferenza del braccio, che generalmente non viene impiegato perché, seppur di veloce constatazione, non è preciso.
Una disamina che condivide sulla sua pagina X anche l’ambasciatore israeliano in Italia Jonathan Peled: «L’unica “carestia”», commenta riferendosi a quella di Gaza, «mai dichiarata a fronte di un’abbondanza: oltre 100mila camion di aiuti inviati da Israele, troppo spesso rubati da Hamas» (tra parentesi: qualcuno potrebbe chieder conto anche agli egiziani, una volta tanto, di quel che accade o non accade nel valico di Rafah).
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Ma dove sono i commenti indignati? Dove sono i talk scandalizzati, i social sdegnati, i comunicati risentiti? Quei titol...GhassanAlian, il coordinatore delle attività governative nei territori, ricorda poi, e senza mezze misure, che quel «rapporto è falso e si basa su dati parziali e di parte e su informazioni superficiali provenienti da Hamas» che è un’organizzazione terroristica e forse non è necessario sottolinearlo (oppure, visto l’andazzo, lo è). «Ci aspettiamo», chiosa Alian, «che la comunità internazionale agisca responsabilmente e non si lasci travolgere da false narrazioni». Una speranza destinata a infrangersi nell’arco di pochissimo visto che stan già tutti lì, in coda, col comunicato pronto, dal segretario generale Antonio Guterres all’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu Volker Türk, a gridare ai «crimini di guerra di Israele».