Ci sono domande che i giornalisti palestinesi depositari della narrazione a senso unico sul fronte di Gaza e i loro volenterosi megafoni europei non fanno e non hanno mai fatto ai gazawi, e sicuramente mai faranno, non certo per un rigurgito deontologico. Un conto è ascoltare i parenti delle vittime civili dei bombardamenti e dell’offensiva via terra delle Idf israeliane, che colpiscono mediaticamente come un calcione al basso ventre dell’opinione pubblica occidentale con la regia vincente di Hamas che ha trasformato la propaganda in arma atomica di distrazione di massa, un conto è porre semplici questioni che metterebbero a nudo l’ipocrisia manichea che regge il racconto della guerra nella Striscia.
Siamo nel terzo periodo ipotetico, quello dell’irrealtà, che però in questo caso fotograferebbe la realtà fattuale. Da Pulitzer della banalità chiedere a esempio cosa facesse un palestinese di Gaza il 7 ottobre; cosa ha pensato quando ha saputo dei massacri di israeliani; come ha accolto l’arrivo degli ostaggi a Gaza; cosa ha fatto e cosa ha pensato quando Hamas ha allestito il teatrino umiliante dei rilasci in cambio di centinaia di palestinesi detenuti per reati di terrorismo; cosa pensa del terrorismo; cosa direbbe alle madri e ai parenti degli ostaggi; come ha fatto a non vedere le basi di Hamas nelle scuole, negli ospedali e nei tunnel costruiti con i soldi versati dal mondo da decenni per lo sviluppo e utilizzati invece pure per acquistare armi. Un’operazione-verità che potrebbe confermare o ribaltare la verità della narrazione a senso unico su cause, sviluppi e conseguenze di una guerra che ha una sola foglia di fico: la liberazione degli ostaggi vivi e la riconsegna di quelli morti.
Flotilla, il portavoce vicino a Greta beccato con uno dei capi di Hamas: c'è la foto
Che imbarazzo per Greta Thunberg. Uno degli esponenti del comitato direttivo della "flottiglia della libertà...Se fosse rimossa la causa che ha originato la devastante tempesta bellica sulla Striscia – periodo ipotetico del primo tipo, quello della realtà – Israele non potrebbe più portare a compimento l’operazione militare senza prestare il fianco all’esecrabilità del mondo, ben oltre le squallide ipocrisie e le palesi idiozie storiche sulla proporzionalità della rappresaglia. Israele dovrebbe fermarsi: niente piombo fuso dal cielo e da terra, niente carri di Gedeone in marcia trionfale sulla città di Gaza, niente giustificazione morale alla completa debellatio di Hamas già decapitata in maniera seriale e pure privata dei suoi comandanti passati con un “aiutino” a miglior vita, ciascuno libero ormai di sollazzarsi con le 72 vergini (houri) del Paradiso di Allah, una proporzione che lascia stranamente ammutolite le femministe nostrane.
Secondo periodo ipotetico: la possibilità. Che qualcuno la racconti giusta. Che dica chiaramente che la guerra non può essere codificata in una gabbia etica, per una palese contraddizione in termini: se la guerra fosse etica, non ci sarebbe la guerra. Che racconti che non è bello, né giusto, né condivisibile, ma i civili sono fattualmente un fronte di guerra, perché sono il collante di un regime e se non puoi infliggere colpi decisivi al secondo puoi farlo cadere con la leva dei primi. Che dica che il popolo è responsabile delle decisioni dei suoi capi che ha scelto o subìto, nel bene e molto spesso nel male, come esemplificato dalla seconda guerra mondiale. Piaccia o non piaccia, non è questione di gusti, perché questa è la lezione della storia.
In Israele si manifesta e si protesta perché il governo non riesce né a liberare con la forza né a far liberare con la diplomazia gli ostaggi. Quella che sembra una debolezza, in cui si insinua la criminale politica di Hamas, per paradosso è proprio la forza di un Paese e di una nazione democratica che i tagliagole del 7 ottobre vorrebbero cancellare dalla faccia della terra solo ed esclusivamente con le cattive. Come gli italiani esultarono a piazza Venezia e sulla Penisola quando Mussolini annunciò l’entrata in guerra contro Francia e Gran Bretagna, come i tedeschi raccolsero con entusiasmo le parole di Goebbels sulla guerra totale, come i giapponesi preferivano alla resa l’attacco suicida dei kamikaze, così i palestinesi e i gazawi esultarono all’attentato alle Twin Towers e alla mattanza del 7 ottobre. Solo che questo non è un periodo ipotetico tirato per i capelli. È storia, ed è pure cronaca.