Inzaghì, con l’accento – rigorosamente – sulla i finale. Per noi tutti è SuperPippo, il campione del mondo che ha fatto sognare i tifosi di Juventus e Milan. Per i francesi è un pezzo di cultura, uno strappo da dizionario, una strofa rap. Pippo Inzaghi – sì, proprio lui, l’uomo che viveva in fuorigioco come altri vivono nei quartieri di periferia – è diventato una parola. Una voce da vocabolario. “Inzaghì”, con l’inflessione parigina e l’agilità di un taglio sul primo palo. Un nome proprio diventato sostantivo comune: roba che forse giusto Dante o Leonardo. In Francia, infatti, se dici “inzaghì”, non stai evocando un attaccante vintage, ma uno che sa sfruttare l’attimo, che si butta dentro, che fiuta il varco come un golden retriever fiuterebbe un tartufo. È il tipo che non perde tempo a pensare, perché ha già segnato. Insomma, uno che nella vita è sempre in area piccola, pronto a spingere in rete qualunque occasione, anche quelle che sembrano uscite da un assist sbilenco. Una specie di eroe postmoderno.
La cosa bella è che “inzaghì” non è solo slang da calcetto tra liceali. È una voce piena di beat. Già 4 rapper francesi – FXLL, Tonio 8cho, Zaaki, JeanJass – hanno dedicato al neologismo dei brani interi. E non si tratta di incensare un ricordo sportivo, ma di usare il nome come si usa una metafora urbana: dura, veloce, dritta al punto. Il massimo arriva con “Nagasaki” di Marou Chenko, dove tra moto, Buddha e Giappone sbuca pure Pippo – oggi allenatore del Palermo – a firmare con classe il verso migliore. Sei milioni di ascolti su Spotify. Sei milioni di volte che Inzaghi ha segnato... in cuffia. Pippo, che le parole le maneggia come faceva coi dribbling, se la ride di gusto con il blog “Cronache di spogliatoio”: «Sono felice di sapere che i giovani, soprattutto attraverso la musica, vedono in me un simbolo di opportunismo sportivo e tenacia», spiega. Altro che centravanti di manovra. «Sono spesso citato nel rap francese, ed è come se il mio modo di giocare fosse diventato un linguaggio universale, che parla a coloro che non smettono mai di credere che il momento giusto alla fine arriverà». Eccolo, l’inzaghì-style: non importa come rimbalza la palla, l’importante è che la rete si gonfi.
Del resto, lui era nato così: 316 gol in carriera, di cui 156 in Serie A e 25 in Nazionale. Mai troppo bello da vedere, ma sempre puntuale come un gol al 93’. Era la sua firma: il tap-in mistico, il colpo di stinco elevato a filosofia. Diciamolo: la botta di culo. Il gol brutto fatto diventare arte concettuale. E ora quella cifra stilistica è diventata lingua viva, lessico corrente, patrimonio culturale. Non è più solo «renard des surfaces», la volpe d’area – soprannome che i francesi gli avevano affibbiato prima di innamorarsene davvero – ma icona semantica, termine operativo. «Questa definizione mi fa sorridere perché riassume bene la mia essenza di calciatore: discreto, ma astuto». Più che una descrizione, un’autobiografia. Ma Inzaghi non è solo. Il suo nome si aggiunge a una gloriosa formazione di sportivi trasformati in espressioni. In Italia, da decenni, esiste la “zona Cesarini”, quell’ultimo minuto utile in cui succede tutto. Il nome viene da Renato Cesarini, ala destra della Juve anni Trenta, specialista dei colpi di scena al fotofinish.
Oggi lo usano anche in politica, nei quiz, nelle trattative sindacali: «firmato in zona Cesarini», come dire: salvato all’ultimo respiro. Negli Usa, invece, Michael Jordan non è più solo leggenda: è verbo. «To Jordan» significa affrontare e superare l’ostacolo con stile, saltare sopra i problemi come MJ saltava sopra i rivali. E poi c’è Zlatan: in Svezia «zlataner» è un verbo vero, ufficiale. Vuol dire dominare, agire con supremazia. Stile Ibrahimovic. Ma Pippo è diverso. Perché Inzaghi non è entrato nel lessico da vincente dichiarato, ma da uomo di attesa, da centometrista mentale. Il suo è un verbo paziente. Uno che si prepara, che si nasconde, che si fa dimenticare... e poi azzanna. È la rivincita dell’intuito sull’estetica. Dell’opportunismo sul possesso palla. Del Futurismo sul Barocco. Oggi, a Palermo, ma stavolta in panchina, SuperPippo continua a lavorare con lo stesso spirito: pochi fronzoli, tanta sostanza. Il calcio ha cambiato lingua, ma lui è sempre lì, tra una rima e una corsa sul secondo palo. E se è vero che ogni parola nasce da un’immagine, quella di Inzaghi in scivolata – occhi spalancati, esultanza furiosa – è ormai iconografia globale. Inzaghì, mon amour.