La Flotilla è ripartita ieri verso Gaza e una quarantina di italiani, parlamentari inclusi, è ancora a bordo. L’appello di Sergio Mattarella pare destinato a restare inascoltato, allargando così il solco che separa il Quirinale dal Pd e dagli altri partiti di opposizione. Lo scenario peggiore, quello dello scontro in mare con la Marina militare israeliana, ora è anche lo scenario più probabile.
Pure il colloquio telefonico che Antonio Tajani ha avuto ieri sera con Maria Elena Delia, la portavoce degli imbarcati italiani (tornata in patria perché è insegnante, le scadeva l’aspettativa), si è rivelato infruttuoso. Il ministro degli Esteri le ha ripetuto la linea del governo: ha «sconsigliato» di forzare il blocco navale israeliano, spiegando che comunque la fregata Alpino «assisterà la Flotilla e in caso di problemi fornirà qualsiasi assistenza umanitaria». Ma di certo, ha ribadito, la nave militare «non fa la scorta» ai pro-Pal. Finita questa discussione, Tajani ha sentito Giorgia Meloni.
Elly Schlein, leader del primo partito d’opposizione, si chiama fuori: «Non siamo noi a decidere, perché non siamo noi gli organizzatori. Quello che possiamo fare è invitare a proseguire il dialogo tra la Flotilla e il patriarcato latino». È la stessa formula pilatesca usata da Giuseppe Conte: «Qualsiasi decisione prenderanno, noi saremo al loro fianco». L’ex premier arriva a dire che il senatore del M5S Marco Croatti, che partecipa alla missione, «ha aderito come cittadino», non come parlamentare.
A sinistra nessuno ha il coraggio di dire «no» al capo dello Stato, ma nessuno ha l’onestà di ammettere che la decisione di tirare dritti verso Gaza è pericolosa e promette di creare un enorme problema istituzionale, vista anche la presenza dei quattro parlamentari italiani. Dopo la richiesta accorata di Mattarella sono tornati in patria, a detta dei responsabili della Flotilla, solo dieci italiani su un totale di cinquanta. «Circa quaranta persone sono rimaste a bordo e le rimanenti hanno legittimamente deciso di tornare in Italia per proseguire l’attività insieme all’equipaggio di terra», è la versione che esce da lì. La colpa delle defezioni viene attribuita ai «sabotaggi».
Tra i quali, secondo i responsabili della spedizione, rientra il comunicato che il ministero degli Esteri ha inviato due giorni fa ai familiari dei membri della spedizione: «Afferma che alcuna protezione verrà garantita in caso di attacco di Israele: un atto di sabotaggio gravissimo». Nella Flotilla, però, i dubbi non mancano. Si fronteggiano diverse anime: gli italiani sono più inclini a trovare una mediazione, mentre spagnoli e portoghesi, pure loro presenti con delegazioni nutrite, spingono per la linea dura.
A incoraggiare quest’ultima, personaggi come Francesca Albanese, che della Flotilla è una sorta di madrina. La relatrice speciale delle Nazioni Unite si rivolge, via social network, direttamente a Mattarella, per dirgli che il suo appello è andato nella direzione sbagliata: «La prego di usare la sua autorità e il suo peso politico per chiedere a Israele di fermare il massacro, invece che alla Flotilla, la nostra fiaccola di umanità in movimento, di fermarsi». Nessuna risposta dal Colle, ovviamente, né a questa né alle richieste degli attivisti, che non sono di competenza del Quirinale.
Diretti verso Gaza sono anche l’europarlamentare Annalisa Corrado e il deputato Arturo Scotto, ambedue del Pd. Erano pronti ad accettare la proposta che la Farnesina ha studiato con la Cei, che prevedeva di consegnare il carico di aiuti a Cipro, da dove il patriarcato di Pierbattista Pizzaballa lo avrebbe fatto arrivare a Gaza. L’intransigenza della grande maggioranza dei membri della Flotilla ha affossato questa ipotesi. Scotto adesso spera che «l’Unione europea si muova». Difficile che accada. Una sessantina di eurodeputati di sinistra aveva scritto alla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, affinché Frontex, l’agenzia di controllo delle frontiere europee, fornisse con le proprie navi una scorta militare al convoglio degli attivisti. Ipotesi subito bocciata, come ha spiegato ieri una portavoce dell’agenzia: «Frontex è un’organizzazione civile, non militare. Non abbiamo la capacità di fornire protezione o scorta».
La soluzione che prevede la consegna degli aiuti a Cipro resta comunque sul tavolo. Matteo Zuppi, presidente della Cei, insiste affinché l’appello del Quirinale sia ascoltato. Ieri ha detto che i contatti tra lui e la Flotilla sono continui e dunque «c’è sempre speranza». Al coro si è unitala comunità di Sant’Egidio, sempre molto vicina all’arcivescovo di Bologna. Ma il tempo stringe. Le 53 imbarcazioni prevedono di raggiungere Gaza entro quattro giorni, senza fare altre soste. Il blocco navale israeliano è lì ad attenderle.