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Se Gaza non è uno Stato la colpa è dei palestinesi

La grandissima, irripetibile occasione degli Accordi di Oslo gettata al vento da Yasser Arafat
di Marco Patricelli venerdì 10 ottobre 2025

3' di lettura

Sarà la dura realtà del riassetto del Medio Oriente ad archiviare gli slogan muffiti di cui si è nutrita la propaganda, dalla salottiera e televisiva “due popoli due stati” alla virulenta di piazza “Palestina libera dal fiume al mare”. Se i palestinesi avranno uno stato non dipenderà dai flottiglianti, né dagli okkupanti e neppure dai barricaderi, ma dalla diplomazia.

Sei palestinesi avessero voluto avrebbero uno Stato da un ventennio. Ma Yasser Arafat sbatté davanti al muso del presidente americano Bill Clinton la porta che le trattative avevano aperto tra Israele e Olp negli Accordi di Oslo del 1993 e poi del 1995. La proposta di pace statunitense offriva ai palestinesi la striscia di Gaza, il 96% della Cisgiordania, un 4% di Israele da definire, Gerusalemme Est capitale, e con un viadotto per collegare Gaza alla Cisgiordania. L’Autorità Nazionale Palestinese disse no. Clinton lo aveva già ricordato e ci è tornato probabilmente per rinfrescare la memoria a chi non vuole sapere e neppure sentire. Ha pure rimarcato che le comunità ebraiche in assoluto più favorevoli alla formula “due popoli due Stati” erano proprio quelle vicino a Gaza, massacrate nella carneficina del 7 ottobre a opera di Hamas. La storia bussa adesso a quella porta sbarrata dai palestinesi, con la tregua strappata e imposta da Donald Trump.

La spartizione della Palestina ex britannica era stata già stabilita dall’Onu nel 1947, con la nascita di uno Stato ebraico, uno di Palestina e Gerusalemme città libera. Israele il 14 maggio 1948 si proclamava tale, ma i Paesi arabi circostanti decisero il ricorso alla forza per spazzare via lo Stato ebraico che colse invece una folgorante vittoria militare da cui derivò l’allontanamento della popolazione palestinese e il crollo fattuale della possibilità di creazione dello Stato di Palestina per l’annessione di territori da parte dell’Egitto e della Giordania.

Nel 1964 l’Olp si darà una carta nella quale all’articolo 2 rivendica come confini quelli dell’ex mandato britannico (dal Giordano al mare degli slogan odierni), nel 6 nega agli ebrei di essere nazione e nel 9, 10, 12 e 15 sostiene la legittimità della lotta armata. La storia racconta che con la Guerra dei sei giorni Israele estromette Egitto e Giordania da Gaza e West Bank, occupa le alture del Golan e del Sinai e dà il via libera all’insediamento di coloni. Il tentativo di rivincita araba nella Guerra del kippur del 1979 viene frustrato dal successo israeliano, ma porta a un accordo di pace tra Egitto e Israele, primo riconoscimento formale dello Stato ebraico, che sarà seguito nel 1994 dalla Giordania e nel 2020 da Emirati Arabi e Barhein grazie agli Accordi di Abramo, auspice sempre Trump. L’indipendenza della Palestina era stata proclamata ad Algeri dal Consiglio nazionale palestinese nel 1988, a un anno dallo scoppio dell’Intifada.

Gli Accordi di Oslo avevano come premessa il reciproco riconoscimento, il ritiro dell’esercito israeliano e libere elezioni in Palestina. Israele si ritirò da Gaza nel 2005 e nel 2006 le elezioni (le seconde e uniche dopo il 1996) vennero stravinte da Hamas mentre il partito dell’Olp, Al Fatah, si affermava nella West Bank. I contrasti da guerra civile durati un biennio si chiusero con l’estromissione dell’Anp da Gaza.
Il punto di non ritorno è la strage del 7 ottobre 2023 e la presa di centinaia di ostaggi portati in trionfo a Gaza festante dai tagliagole di Hamas, con la scontata reazione militare israeliana e la distruzione della città con decine di migliaia di vittime. La storia crea le concatenazioni tra causa ed effetto, il resto è propaganda. Il problema concreto non sta nel velleitario riconoscimento dello Stato di Palestina (che è atto politico, non giuridico) recitato come un mantra dalla sinistra, ma nell’assenza dei requisiti: il popolo, che non è però permanente; il territorio, che non è definito; l’ordinamento, che, nel caso specifico, prevede, reitera, insegna e propugna la distruzione di Israele. I semi dell’odio sono sempre lì.

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