Il Nobel per la pace a Maria Corina Machado non è un vezzo accademico: è uno schiaffo ai professionisti dell’equidistanza, a chi ammicca a un “nuovo ordine” purché sia contro l’Occidente. Da anni, in nome di un antioccidentalismo di maniera, si assolve l’inaccettabile: tagliagole promossi a partigiani, Stati oscurantisti trattati da vittime, autocrati spacciati per riformatori purché anti-USA. Machado, leader liberale e centrista di Vente Venezuela, ha sfidato per anni il potere rosso-bolivariano di Nicolás Maduro con l’unica arma dei cittadini disarmati: la mobilitazione pacifica. La sua caparbietà ha tenuto accese piazze e coscienze mentre il Paese sprofondava nell’emigrazione di massa.
Il punto di rottura è noto: la vittoria di Edmundo González Urrutia è stata travolta da apparati fedeli a Maduro; il candidato è finito in esilio in Spagna, le proteste non si sono mai spente. Dal luglio dello scorso anno cortei oceanici ribadiscono l’elementare diritto dei venezuelani a scegliere chili governa. La risposta del potere è stata quella dei regimi che temono i cittadini: repressione, arresti arbitrari, torture, sequestri. Machado è rimasta in campo, trasformando la paura in disciplina democratica.
Sul piano internazionale il quadro è istruttivo. L’Unione europea ha denunciato il rovesciamento del voto e riconosciuto Gonzales Presidente, ma settori della sinistra — in Italia Pd, M5S, Avs — hanno esitato, prigionieri del riflesso che assolve i caudilli “progressisti”. Ferma la posizione di Stati Uniti e Canada, che riconoscono l’opposizione. Mentre il Brasile di Lula, per calcolo, s’è allineato all’asse Cina-Russia-Iran, garanti del regime. Quel voto a Strasburgo ha tracciato una linea di principio che precisi soggetti politici in Venezuela, Iran, Ucraina, medio oriente che forse sono obbligati a non voler vedere.
Ma c’è anche il petrolio. Con il greggio si comprano tregue, silenzi, indulgenze. Accade anche in Europa, anche in Italia. Il caso venezuelano come quello iraniano. Teheran reprime le giovani che reclamano libertà, arma milizie del terrore e continua a trattare alla pari sui tavoli energetici. L’autoritarismo petrolifero presenta conti che altri pagano volentieri. La ricchezza che unge gli ingranaggi ottunde anche la vista delle diplomazie, pronte a confondere stabilità con resa.
Il Nobel a Machado presenta un conto morale: la libertà si difende senza bombe, senza terrorismo. Chiede all’Occidente di rimettere in sesto lo scudo: non crociate, ma alleanze tra democrazie, sanzioni efficaci, sostegno a chi rischia la pelle. Va ricucita la trama di regole che l’Onu non fa rispettare, avvantaggiando gli avventurieri. Come in Libano svuotando la risoluzione 1701; come in Ucraina con l’assuefazione che soffoca il popolo aggredito. La neutralità indifferente non è equilibrio: è resa. Machado non ha carri armati né pozzi, ma possiede ciò che manca alla politica dei calcoli: l’autorità di chi rischia la vita per la verità. Il Nobel non chiude una contesa: apre un dovere. Restituire al Venezuela la scelta, e all’Occidente la coscienza di sé. Se la libertà vale ancora, oggi la sua unità di misura passa anche per Caracas.