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Milei, la sinistra non sa dire che è lui ad aver vinto le elezioni

Il trionfo del presidente argentino imbarazza i giornali progressisti che attribuiscono i meriti a Trump oppure nascondono la notizia
di Tommaso Montesano mercoledì 29 ottobre 2025

3' di lettura

Bel guaio, per il mondo progressista, la vittoria del partito di Javier Milei alle elezioni parlamentari in Argentina. Ma come, lo spaccone con la motosega, quello con «l’estetica da macho», che usa un linguaggio offensivo che mescola «sessismo, violenza, disprezzo degli avversari politici e misoginia» (copyright La Stampa) ce l’ha fatta? Ebbene sì: ce l’ha fatta. Ancora una volta. Proprio lui, alla guida della sua «ultradestra spudorata» che l’aveva già portato alla Presidenza nel 2023. E che adesso è stato capace di conquistare con il suo movimento - La Libertad avanza- 93 seggi alla Camera (56 in più) e 19 scranni al Senato (13 in più).
Bel guaio, dunque. Che fare allora? Rendergli onore, va da sé, proprio no (che orrore, l’«autocrate» con i basettoni). Così i giornali con il cuore che batte a sinistra si sono divisi: alcuni hanno scelto di ridicolizzarlo per interposta persona (attraverso un altro leader altrettanto detestato quale è il presidente americano, Donald Trump); altri l’hanno ignorato, nascondendo la notizia del risultato elettorale in una pagina interna.

«SOLO PER DONALD»
Del primo blocco è capofila Avvenire, del secondo Repubblica. Il quotidiano dei vescovi italiani ha commentato così «l’avanzata dell’ultradestra»: «Vittoria di Milei, trionfo di Trump». Il presidente argentino, insomma, non avrebbe fatto nulla: si sarebbe limitato a tenere la mano del tycoon, il vero regista dell’affermazione del partito del Presidente con il prestito da 20 miliardi di dollari. Sono stati quei soldi a permettere al capo della Casa Rosada, il palazzo del potere a Buenos Aires, di spuntarla nonostante «scandali», «tagli» e «crollo della moneta»: «L’intervento di Washington è servito a salvare Milei dalla tempesta perfetta».

Poi c’è l’analisi dei flussi elettorali del Wall Street Journal che spiega come Milei abbia ottenuto la vittoria conquistando consensi tra le classi più umili, strappando ai peronisti i sobborghi più poveri. Per non parlare del Corriere della sera, secondo cui dal voto è emerso piuttosto un mandato politico chiaro con un obiettivo altrettanto preciso: «Gli argentini hanno più che raddoppiato i voti per il partito di Milei non per omaggiare Trump o Musk. Hanno voluto dare al presidente i mezzi per governare. Hanno voluto dare all’esperimento liberista il tempo necessario, prima di giudicarlo» (Federico Rampini). Infatti al momento dell’elezione a Presidente, Milei non godeva di una maggioranza parlamentare. Invece ora hanno parlato, bloccando «un ritorno al potere dei peronisti».
A Repubblica hanno preferito fare finta di niente. Nessun richiamo in prima pagina. La notizia delle elezioni argentine è stata relegata in un articolo in fondo a pagina 20 con la stessa narrazione di Avvenire: «Milei vince con il sostegno di Trump». Tutto qui. Meglio eccitarsi con la campagna elettorale di Zohran Mamdani nella “Grande mela”: «La sinistra Usa ci crede: “Conquistiamo New York”» (promemoria: l’ultimo repubblicano a vincere, a proposito di “impresa”, è stato un atipico come Michael Bloomberg, nel 2001).

SEDUTA DI ANALISI
Sempre meglio della Stampa, che ha affidato alla scrittrice Viola Ardone un vero e proprio “diario dell’incredulità”. Ardone è stata nella capitale argentina per un ciclo di incontri letterali, e ha colto l’occasione per chiedere in giro come abbia fatto «un personaggio come Milei» a prendere tutti quei voti. La scrittrice, per dire, incontra Perla, «una donna colta, profonda, amante della letteratura, come è possibile che una come lei non dia peso alle parole, agli atteggiamenti, alle posizioni radicali che Milei esibisce senza alcun contegno?». La risposta arriva da sola poche righe dopo: le odiate «destre populiste» continuano a vincere perché «sanno parlare al tassista immigrato e alla psicologa pensionata, e a ciascuno di loro forniscono delle motivazioni valide per ottenere il voto».
Altro che il prestito di Trump.

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E che dire del Fatto quotidiano, secondo cui l’avventura di Milei era arrivata al capolinea? «Motosega-flop»; «può saltare il banco»; «le minacce di Trump agli elettori non l’hanno aiutato»; «arriva alle urne fortemente indebolito». Ieri, doppia paginata sul partito del loco che ha superato il 40%: «Giovani, Trump, peronisti: perché Milei trionfa». Almeno loro non hanno fatto finta di niente.

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javier milei

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