Le elezioni di metà mandato in Argentina per il presidente Javier Milei e il suo partito anarco-capitalista, La Libertad Avanza, dovevano essere un tonfo e invece si sono dimostrate tutt’altro. Come sempre ad alcuni commentatori italiani la cosa non è andata giù. Quindi perché non attaccare il governo Meloni per interposta persona? Il rapace d’area di queste situazioni - con lo stesso istinto verso la porta avversaria di Pippo Inzaghi - è Roberto Saviano.
Nulla può muoversi nel pianeta senza che lui abbia espresso giudizio. Eccolo quindi pubblicare il video sui social di un suo intervento, di fine 2024, nel salotto di Lilli Gruber durante il programma Otto e mezzo. La conduttrice altoatesina cita, col fare di chi ha già messo il giudizio nella menzione, la Meloni asserendo che per lei «Milei sta facendo una rivoluzione culturale». E allora va in scena l’autore di Gomorra. Il fare sornione, i tempi scenici, la gestualità di chi prende la rincorsa filologica per dirti quello che devi pensare.
«Oggi», scrive su Instagram, il presidente argentino «ha vinto le elezioni di metà mandato» vedendo rafforzato «il suo potere. Ma è la rivoluzione del populismo: quella che trasforma il leader in vittima, lo Stato in nemico, e l’intellettuale in bersaglio». Poco importa se le prime parole del leader di Libertad Avanza, dopo il successo elettorale, sono state «basta populismo. Mai più populismo», gridate ai microfoni della conferenza post-elezioni.
Saviano lo sa comunque qual è il suo verbo e a lui non gliela fai. Perché è tutto un unico disegno che da Washington arriva a Buenos Aires passando per Roma. Il Fascismo non dorme mai ed è diventato come il Re Sole. Sulla rivoluzione di Mussolini non sorge mai la luna e all’intellettuale degli intellettuali tocca l’ingrato compito di vigilare. «In Argentina funziona», prosegue, «perché lo Stato è stato complice del crimine. Qui funziona perché questa politica trova senso soltanto nella creazione di un nemico». Il mondo come Gotham City. Chissà se gli entra il costume da Batman. Luca Bottura, invece, è come San Tommaso e se non vede, non crede. «Ma quindi», in diretta X, «qualcuno può credere a un qualunque risultato elettorale comunicato da questo qua». Questo qua è ovviamente Milei con l’immancabile motosega. Sarà rimasto frastornato dal pareggio all’ultimo secondo della Fiorentina contro il suo Bologna, ma citando Pirandello, caro Bottura, “così è” anche se non ti pare.
Nel mentre il Corriere della Sera cerca tra le maglie del voto e individua in Santiago Caputo il «consigliere senza firma o carica, ma assai potente e con molti contatti tra Washington e i servizi segreti» come vero ago della bilancia. Perché è comunque meglio guardare torvo Trump e i suoi alleati. Del resto Caputo «è il Rasputin della pampa, l’uomo che ha il compito, dietro le quinte, di “hacer que Argentina vuelva a ser grande”, alias Make Argentina Great Again (o Maga). Ricorda qualcosa?». Sì, la stessa solfa sentita e risentita.
In Italia non solo mistificazioni. Verso il presidente argentino sono arrivati anche attestati di stima. Luigi Marattin celebra la vittoria di Milei sottolineando come «la politica, alla fine, non è una cosa così complicata come può sembrare. La ricetta è semplice: parla chiaro, fai ciò che hai promesso, porta risultati concreti». Il numero uno leghista Matteo Salvini si complimenta per «lo straordinario risultato alle elezioni di metà mandato. Contro tutto e tutti.
Avanti tutta con le riforme, viva la Libertà!». Mentre il tweet più atteso, come di consueto, è quello del Premier Giorgia Meloni. Foto d’ordinanza e «congratulazioni, amico mio». Auspicio che ricorda uno degli slogan di Cruciani. Slogan indigesto per gli intolleranti delle vittorie altrui.