Quello di Johannesburg è il G20 dell’elefante nella stanza, dove il membro più importante, gli Stati Uniti è assente. Ed è di qualcosa che riguarda molto da vicino la Casa Bianca che si è discusso ieri in massima parte, del piano di pace in 28 punti che gli Usa hanno sottoposto a Ucraina e Russia con un avviso chiaro: prendere o lasciare. I leader europei presenti insieme a quelli di Canada e Giappone (in sostanza il G7) hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui sostengono di accogliere con favore il piano in quanto «include elementi importanti che saranno essenziali per una pace giusta e duratura».
La base insomma c’è, ma «richiederà ulteriore lavoro». I dubbi riguardano in sostanza la questione dei territori e quella delle forze armate ucraine: «Abbiamo ben chiaro il principio secondo cui i confini non possono essere modificati con la forza», hanno scritto sottolineando di essere «preoccupati per le limitazioni proposte alle forze armate ucraine, che renderebbero l’Ucraina vulnerabile a futuri attacchi». Il documento sottolinea anche l’importanza che i punti relativi all’Unione Europea e la Nato abbiano il consenso dei membri delle due entità. I leader dell’Ue si incontreranno domani durante il vertice Ue-Africa a Luanda per discuterne ancora, mentre già oggi le delegazioni di Stati Uniti e Ucraina si incontreranno in Svizzera a Ginevra per definire i «possibili parametri di un futuro accordo di pace», come ha detto il segretario del Consiglio di sicurezza dell'Ucraina, Rustem Umerov.
Per l’Ucraina sarà presente Andriy Yermak il discusso collaboratore di Zelensky. Ma ci saranno anche i consiglieri per la sicurezza nazionale europei e un aggiuntivo funzionario italiano. Oltre ai concetti espressi nel comunicato la linea europea sul piano dei 28 punti rimane quella del «consenso incondizionato di Kiev» senza il quale non può esserci pace. Lo ha ribadito al G20 il cancelliere tedesco Merz, aggiungendo che «le guerre non possono essere risolte dalle grandi potenze a discapito dei Paesi interessati».
Lo sa anche Donald Trump, che ieri ha risposto sul punto ai giornalisti: «No, non è la mia offerta finale», come riporta la Cnn. Un’apertura al negoziato, ma a carte ancora coperte.
Quanto al vertice G20 nato sotto l’insegna del “multipolarismo”, l’assenza degli Usa - dovuta al fatto, come ha detto Trump, che «gli afrikaner (discendenti dei coloni olandesi e degli immigrati francesi e tedeschi) vengono uccisi e massacrati, e le loro terre e fattorie vengono confiscate illegalmente»- è un segnale d’allarme per la sua stessa esistenza. Anche perché sarà proprio Washington a presiederlo da dicembre.
«Il G20 potrebbe essere giunto alla fine di un ciclo», ha detto a Johannesburg il presidente francese Macron appellandosi anche agli «assenti». «Il G20 è a rischio se non ci impegniamo collettivamente su alcune priorità», come i diritti umani e la sovranità, ha affermato Macron. «Dobbiamo assolutamente dimostrare di avere azioni concrete per riprendere il dialogo in questo forum e fornire risposte per le nostre economie, riunite collettivamente attorno a questo tavolo», ha aggiunto. D’accordo anche il premier cinese Li Qiang che ha puntato il dito contro «l’unilateralismo e il protezionismo dilaganti»: «Molte persone», ha detto, «si stanno chiedendo cosa stia succedendo esattamente alla solidarietà globale».
Segnali di divisioni sono emersi anche nella stesura del documento finale che su diversi punti non ha raccolto il consenso di tutti. È il caso ad esempio della guerra in Medio Oriente che ha spinto l’Argentina a non firmare il documento per protesta. Il documento, ha lamentato Buenos Aires, «omette il contesto regionale e le cause strutturali alla base del conflitto, elementi indispensabili per il progresso di un processo di pace autentico, sostenibile ed equilibrato».
Tra i punti più importanti discussi ieri l'allargamento del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, una riforma che «lo allinei alle realtà e alle esigenze del XXI secolo, lo renda più rappresentativo, inclusivo, efficiente, efficace, democratico e responsabile, e più trasparente». Il documento chiede l’allargamento a «gruppi sottorappresentati e non rappresentati, come Africa, Asia-Pacifico e America Latina e Caraibi». E poi maggiori investimenti per l’Accordo di Parigi sul clima, in linea con «la necessità di riduzioni profonde, rapide e durature delle emissioni di gas serra, in linea con i percorsi di 1,5 °C». Infine la necessità di «condividere equamente i benefici e mitigare i rischi» dell’Intelligenza Artificiale. E anche in questo caso si parla di «integrare le opinioni dei Paesi sviluppati e invia di sviluppo», in particolare dell’Africa.




