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Vladimir Putin rassicura l'Europa, ma sembra una minaccia

Uno dei punti ineludibili del fantasmatico piano di pace è l’esclusione dell’Ucraina dall’adesione alla Nato e un altro è la neutralizzazione dell’esercito di Zelensky, dimezzato e messo in condizioni di tener bassa la testa
di Marco Patricelli venerdì 28 novembre 2025

3' di lettura

Uno dei primi atti della presidenza di Vladimir Putin dopo aver ereditato da Boris Eltsin una Russia allo sbando, fu quello di far ridisegnare dai sarti le uniformi di esercito, marina e aeronautica: via il triste marrone d’epoca sovietica e via libera a divise dal buon taglio, eleganti, che davano l’orgoglio dell’appartenenza e il senso della potenza militare. Era l’epoca delle svendite selvagge di armi e materiali dell’Armata Rossa che si potevano trovare in tutte le Fiere dell’Est, dei sommergibili e delle navi trasformati in abitazioni private a causa della crisi degli alloggi, di jet riverniciati con livrea civile e portati da piloti congedati in giro per il mondo alle manifestazioni aeree a far vedere la strepitosa manovra del Cobra di Pugaciov. Quell’attenzione alle forze armate che avevano messo paura al mondo all’epoca della Guerra fredda non era casuale, perché tutto, nella politica putiniana, era pianificato per lucidare lo smalto appannato della superpotenza e rinverdire gli antichi fasti muscolari della Russia e dell’Urss di Stalin. Ogni passo è andato verso quella direzione, con iperattivismo nell’ex impero per far sentire il morso dell’antico padrone (chiedere alla Georgia rimessa in riga con la forza nel 2008), gonfiando il petto e alzando la voce. L’Ucraina non è stato un incidente di percorso ma il percorso cercato e voluto verso l’incidente che riportasse Mosca nella cabina di regia degli equilibri mondiali, intaccando la leadership americana e temperando l’arrembante Cina.

Il sistema economico di coordinamento Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) non era stato preso troppo sul serio dall’Occidente ma aveva dimostrato il potere attrattivo verso quel resto del mondo in cerca di un’alternativa fuori dall’intonazione nel coro dominante. Il signore del Cremlino, in procinto di incassare il dividendo della guerra scatenata con l’eufemismo dell’Operazione militare speciale, nello strategico gioco al rialzo ha messo sul tavolo un programma di riarmo su grande scala che lega a Mosca il protettorato della Bielorussia, il Kazakistan, il Kirghizistan e il Tagikistan, con la sigla Csto che sta per Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva. Nel suo intervento al vertice di Bishkek, capitale del Kirghizistan, il presidente sempiterno della Russia ha lanciato il suo progetto «per dotare le forze collettive di armi ed equipaggiamenti russi moderni che hanno mostrato la loro efficacia in operazioni militari reali». Ovvero i test sul terreno degli oblast invasi e sui cieli delle città dell’Ucraina martellate quotidianamente da missili e droni. Un affare in ogni senso, per Putin e per la Russia: non solo omologazione nel segno di quella che una volta era la dottrina militare sovietica su armamenti e strategie, ma anche controllo tecnologico e robuste iniezioni di danaro fresco nelle casse statali passando dall’industria bellica, per di più costanti e regolari nel tempo. A questo disegno egemonico di mutuo soccorso, che va oltre l’identità statale ed etnica delle ex repubbliche sovietiche, si è timidamente sottratta lo scorso anno la cristiana Armenia, che già aveva dovuto far ricorso alla protezione della Russia per rintuzzare le mire dell’islamico Azerbaigian sul Nagorno-Karabakh.

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Nel 2020 Baku ha vinto l’ennesima guerra e nel 2023 ha cacciato gli armeni dalla regione, senza che a Erevan arrivasse una mano concreta. Putin si è fatto bene i suoi conti, ha da tempo tastato il polso ad amici (pochi) e nemici (tanti) e si è sentito pure di rassicurare questi ultimi: la Nato può stare tranquilla e buonina, perché lui non ha nessuna intenzione di provocarla. A lui saranno bastate le reazioni e le isterie su droni a passeggio, hackeraggi informatici, sconfinamenti di aerei e navi al limite delle acque territoriali del Baltico. La sua Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva è chiaramente un blocco militare a guida unica, con testa e nervi al Cremlino, di contrappeso all’Alleanza atlantica. Uno dei punti ineludibili del fantasmatico piano di pace è l’esclusione dell’Ucraina dall’adesione alla Nato e un altro, preliminare o consequenziale, la neutralizzazione dell’esercito di Zelensky, dimezzato e messo in condizioni di tener bassa la testa per decenni da ogni tentazione revanscista.

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