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Israele riconosce il Somaliland: scelta strategica decisiva

di Costanza Cavalli lunedì 29 dicembre 2025

3' di lettura

Nemmeno «dov’è», ma «che cos’è il Somaliland?», ha chiesto sabato Donald Trump in un’intervista telefonica con il New York Post. Perché quella sottile striscia di territorio lunga 800 chilometri abitata da 6,2 milioni di africani all’estremità nord-occidentale della Somalia bagnata dalle acque del golfo di Aden sulle mappe non esiste, il mondo non la riconosce, è diplomaticamente isolata dal 1991, quando si autodichiarò indipendente.

Ha un governo, un sistema democratico multipartitico funzionante, indice regolari elezioni, ha una moneta, un esercito, una forza di polizia. Non ha accesso a prestiti, aiuti e investimenti esteri. Ha limitate capacità di firmare accordi di sicurezza, di accedere ai mercati globali, di controllare il proprio spazio aereo. Il Somaliland non era riconosciuto da nessuno, fino all’altroieri.

«Il primo ministro ha annunciato il riconoscimento ufficiale della Repubblica del Somaliland come Stato indipendente e sovrano», ha dichiarato l’ufficio del Primo ministro israeliano. «Netanyahu, il suo capo della diplomazia Gideon Saar e il presidente della Repubblica del Somaliland Abdirahman Mohamed Abdullahi hanno firmato una dichiarazione congiunta e reciproca nello spirito degli Accordi di Abramo». Sono previste al più presto una visita di Abdullahi a Gerusalemme, la nomina di ambasciatori e l’apertura di ambasciate.

Ma mentre nella capitale dello stato che non c’è, Hargeisa, la folla scendeva in piazza per festeggiare e una bandiera israeliana veniva proiettata all’esterno del Museo della nazione separatista dell’Africa orientale, il resto del continente e i Paesi arabi ribollivano. La Somalia ha definito il riconoscimento un «attacco alla sovranità nazionale». Condanne sono arrivate da Arabia Saudita, Egitto, Turchia, Qatar, Kuwait, Iraq, Iran, Giordania. Con un giro di telefonate ai suoi omologhi, il presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud ha incassato il sostegno di Kenya, Uganda, Tanzania, Gibuti. Nessuno vuole un nuovo attore regionale su una costa sensibile come il Golfo di Aden e il Mar Rosso, dove si affollano influenze internazionali, e linee energetiche e tratte commerciali si intrecciano con la pirateria, le migrazioni irregolari, i gruppi estremisti.

Anche l’Unione africana, infatti, ha riaffermato il principio dell’inviolabilità delle frontiere (non sia mai che nel continente in cui le frammentazioni di sovranità sono la norma, a qualcuno venga in mente di prendere esempio) e oggi il Consiglio della Lega degli Stati arabi terrà al Cairo una riunione di emergenza (ad aumentare la sensibilità araba contribuisce l’ipotesi che Netanyahu aveva avanzato durante la guerra e cioè il trasferimento dei gazawi proprio in Somaliland).

Persino la solerte Onu questa volta si è mossa in fretta: il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si riunirà domani per una sessione d’emergenza. Mogadiscio avrà certamente dalla sua almeno uno dei membri permanenti: la Cina. In una telefonata, Pechino ha espresso «fermo sostegno» al governo somalo. L’ex colonizzatrice Unione europea non può che ribadire alle ex colonie «l’importanza di rispettare l’integrità territoriale della Repubblica federale di Somalia» e incoraggiare «un dialogo costruttivo tra il Somaliland e il governo federale della Somalia al fine di risolvere le divergenze di lunga data». Ma nelle terre che nel Novecento si spartirono inglesi, italiani e francesi (il Somaliland corrisponde grossomodo ai confini dell’ex Somalia britannica, l’area meridionale della Somalia, divenne la Somalia italiana dopo l’occupazione del 1892, la parte più settentrionale fu data alla Francia, che stabilì la Somalia Francese, l’attuale Gibuti), ora pensano al futuro: la sua posizione all’imbocco dello stretto di Bab el-Mandeb, una delle rotte commerciali più trafficate al mondo che collega l’Oceano Indiano al Mar Rosso e al Canale di Suez, rende il Somaliland strategico per il commercio e per la sicurezza.

Tanto è instabile la Somalia, inoltre, quanto invece è stabile Somaliland, non afflitto da combattimenti tra clan rivali o da scontri tra il governo e il movimento jihadista di Al-Shabaab. L’instabilità stadi là dalla costa, in Yemen, dove Israele ha condotto estesi attacchi aerei contro i ribelli Houthi negli ultimi due anni e rende il nuovo alleato di Gerusalemme una «base avanzata per molteplici missioni: monitoraggio dell’intelligence sugli Houthi e sui loro sforzi di armamento; supporto logistico al legittimo governo dello Yemen nella guerra contro di loro; piattaforma per operazioni dirette contro gli Houthi», si legge in un rapporto di novembre dell’Institute for National Security Studies, un think tank israeliano. Gli Emirati Arabi Uniti hanno già installato lì una base militare, con un porto e una pista di atterraggio.

Al presidente Usa è già stato suggerito da più parti di riconoscere il Somaliland, come «protezione contro il deterioramento della posizione degli Stati Uniti a Gibuti» dove l’influenza cinese è in crescita. Gli toccherà scoprire che cos’è.

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