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L'Onu è diventata inutile: perché il destino del mondo si decide a Mar-a-Lago

di Marco Patricelli lunedì 29 dicembre 2025

3' di lettura

Ci sono i luoghi del potere e i luoghi dove il potere si incarna nelle decisioni che determinano e muovono i destini del mondo. Donald Trump ha spostato il baricentro della politica dall’istituzionale Casa Bianca alla residenza personale di Mar-a-Lago. Specchio dei tempi ma anche riflesso caratteriale del Tycoon dai modi da sceriffo del West, che a volte sgrana parole come pallottole di Colt: quando infierisce su Vladimir Zelensky inchiodandolo all’ovvietà che non ha più carte da calare sul tavolo della guerra contro la Russia, oppure quando liquida il Somaliland riconosciuto da Israele con l’ovvietà che nessuno sa neppure dove sia. Questo concetto vale d’altronde per molti con la fissa della geopolitica da salotto, che non saprebbero orientarsi su una cartina muta indicando Gaza o il Sud Sudan, e infatti il presidente degli Usa si affida di solito alle esattissime coordinate militari.

Mar-a-Lago, buen retiro magniloquente come si confà all’estroverso Trump, epicentro di incontri e vertici come di party e ospitate, di discorsi a quattr’occhi come di proclami urbi et orbi, di sottigliezze diplomatiche come di interventi a gamba tesa. È il posto a tre ore di volo da Washington e trenta gradi di differenza, dal bianco della neve all’oro della sabbia, dal Distretto di Columbia alla Florida monostagionale dei milionari e dei pensionati col conto in banca a sei zeri. Qui Trump dà le carte, assegna i compitini, tira le orecchie ai riottosi, spalanca le braccia agli amici, omaggia i pochissimi che reputa suoi pari (ma sempre un filino di meno di quanto lui consideri sé stesso). È il padrone di casa, su questo non si discute, e non solo perché la residenza è proprio sua, ma soprattutto perché ne ha fatto un simbolo riconoscibile della sua strabordante personalità e del suo ruolo di uomo più potente della Terra, caratteristiche che peraltro spesso coincidono.

Da oggi e per quattro giorni il presidente degli Stati Uniti e il premier israeliano Benjamin Netanyahu a Mar-a-Lago fanno il punto e tracciano le linee operative per disegnare le strategie da applicare alla Striscia di Gaza, alla minaccia di Hezbollah e alla protervia perturbativa dell’Iran.

Mar-a-Lago centro gravitazionale delle grandi decisioni e delle porte girevoli della storia: una villa dorata che fa impallidire i palazzi delle istituzioni, le poltrone avvolgenti che sostituiscono le sedie attorno alle scrivanie, la finta informalità che inghiotte il protocollo del pari-a-pari e lo rielabora in salsa americana per poi servirlo già cotto a puntino al tavolo delle cancellerie di mezzo mondo. La politica ufficiale plasmata nel luogo non ufficiale, il pubblico che si inchina al privato.

Mar-a-Lago non è né la dacia di “baffone” né la “tana del lupo”, la Wolfsschanze di “baffetto”, ma ne sfodera l’inviolabilità garantita da eccezionali misure di sicurezza e l’impenetrabilità da luogo dei misteri. La residenza è un po’ signoria rinascimentale italiana dove tradizionalmente serpeggia il sospetto dell’intrigo e le macchinazioni della politica internazionale, un po’ club privato esclusivo made in Usa, e molto corte degli eletti ammessi nel Gotha presidenziale.

Trump, mentre inanella gli otto conflitti che con la sua mediazione e le sue alzate di voce sono svaporati, e mentre congela i focolai di crisi autoproclamandosi uomo di pace, sta facendo degli Stati Uniti un arbitro interessato ai nuovi equilibri soppiantando il simulacro vuoto dell’Onu, avviato a fare la fine della Società delle nazioni che l’aveva preceduta. Chi non è in sintonia con la Weltanschauung trumpiana sa che al momento in cui varca l’ingresso di Mar-a-Lago deve piegare il capo davanti al Capo. È lo spirito dei tempi.

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