Quanto è lunga la strada per l’età dell’oro nella terra dell’oro? E, soprattutto, riuscirà Donald Trump a spezzare il fiato e a far sì che i suoi cittadini lo seguano fino al traguardo? Le sfide che il presidente ha di fronte l’anno venturo sono molte: sul fronte interno, le elezioni di Midterm a novembre, su cui peseranno l’inflazione, la fiducia dei consumatori e l’applicabilità dei dazi, sui quali dovrà pronunciarsi la Corte Suprema. Il passaggio alla Fase 2 del piano di pace a Gaza, un accordo sull’Ucraina e l’uso della forza in America Latina, in politica estera. Imprevedibile fino all’irritante lui e senza velleità astrologiche noi, per prevedere che cosa farà il ciuffo nel 2026 possiamo solo affidarci alla lettura e alla decifrazione del personaggio nei 365 giorni passati.
Ecco quindi un alfabeto trumpiano attraverso il quale interpretare i geroglifici che verranno.
A: Alaska. Centro della strategia geopolitica per il controllo delle rotte artiche e delle risorse minerarie, è stata sede, a Ferragosto, dell’incontro tra Trump e Putin. Al di là degli scarsi risultati del faccia a faccia, il presidente americano ha capito ciò che presto o tardi dovrà succedere: persino lo zar dovrà essere riabilitato nel consesso internazionale.
B: Big Tech. Musk, Zuckerberg, Bezos, Pichai, Cook, Altman: i grandi della Silicon Valley sono tutti in prima fila il giorno dell’insediamento. Trattasi di alleanza strategica: gli uni cercano protezione da regole e dazi, l’altro ha bisogno della loro tecnologia rivoluzionaria per competere con la Cina (cfr. Intelligenza artificiale) e sostenere la crescita nazionale. Sono i veri vincitori del 2025. Occhio, però, pensano di saperne anche di democrazia.
C: Congresso. Gli viene a noia: Trump ha emesso 225 ordini esecutivi, il triplo di qualsiasi altro presidente al suo primo anno in tre quarti di secolo. Per questo viene accusato di essere un re (elettivo?). È vero che il Congresso ha acconsentito a vaste intrusioni nelle sue sfere di autorità, ma alle elezioni di Midterm cambieranno molti seggi, a dimostrazione che il sistema di pesi e contrappesi regge.
D: Dazi. Lo strumento principe della guerra commerciale. Utilizzati non solo contro la Cina, ma anche come minaccia verso gli alleati per rinegoziare i disavanzi che hanno nuociuto ai lavoratori americani che l’hanno votato. Sono la vendetta della Rust belt, di Main Street contro Wall Street.
E: Epstein. Come tutti i politici Trump sa che delle cose spinose è meglio non parlare: nella migliore delle ipotesi non aiuta ad affrontare i problemi, nella peggiore si fa del male alle cause che si difendono. In ogni caso, la pensiamo come lui: «Non capisco perché debba interessare a qualcuno. È roba piuttosto noiosa». Potere, donne, sesso, soldi.
F: Federal Reserve. Jerome Powell è stato soprannominato Mr. “Troppo tardi” perché si ostina a non abbassare i tassi di interesse. La base ideologica dell’insofferenza di Trump è la Teoria dell’esecutivo unitario. Spiegone: la Costituzione dà al presidente il controllo esclusivo del ramo esecutivo e le agenzie indipendenti, incarnazione della burocrazia, sono illegittime (Fed inclusa), non elette, irresponsabili.
G: Gaza. Enorme successo in politica estera. Nessuno ci ha creduto, eppure il piano Trump regge. Tecnica sopraffina e tempismo: sfruttare gli attori in campo per fare pressione sui litiganti. Dal Qatar alla Turchia, dagli Emirati ai Sauditi, dopo l’attacco di Israele su Doha, ecco aprirsi uno spiraglio. Bravo Jared Kushner.
H: Hegseth, Pete. Nato come Segretario alla Difesa e cresciuto come Segretario alla Guerra, è l’incarnazione della “pace attraverso la forza” e del ritorno all’ “ethos guerriero”.
I: Immigrazione. Uno dei pilastri del consenso. Dal completamento di tratti del muro alla chiusura dei confini tramite ordini esecutivi fino allo schieramento dell’Ice, l’agenzia responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell’immigrazione, per rimpatriare gli immigrati illegali, il 2025 potrebbe essere il primo anno dal 1950 in cui il saldo migratorio del Paese sarà negativo.
J: Jihad. Contro il riemergere del terrorismo islamico, per evitare di trovarselo di nuovo in casa, Trump ha ordinato interventi rapidi, mirati, violenti contro ogni tentativo di riorganizzazione del jihadismo radicale. Dai ribelli Houti alla Siria fino al “regalo di Natale” del 25 dicembre 2025, ovvero i tomahawk lanciati sull’Isis in Nigeria.
K: Kirk, Charlie. Il suo movimento, Turning Point Usa, è nato per reazione alle tendenze woke delle università americane. Perno della campagna elettorale del presidente tra i più giovani, il suo assassinio ha dato la stura alla difesa del primo emendamento, che garantisce le libertà fondamentali di religione, di parola, di stampa. La moglie, Erika, ne ha preso il testimone e fa il tifo per Vance 2028.
L: Leavitt, Karoline. A 27 anni detiene il primato di più giovane portavoce della Casa Bianca. Nella sua prima amministrazione, Trump impallinò quattro addetti stampa. Lei resiste e gestisce la stampa americana con uno “stile non fa prigionieri”, dicono. Guardare i canini per credere.
M: Monroe, dottrina. Già ribattezzata dottrina Donroe (perché è quella del 1823 ma «sotto steroidi», ha detto il senatore Lindsay Graham), è la base della nuova Strategia per la sicurezza nazionale americana. Promette lo stop a qualsiasi presenza strategica americana al di fuori dell’emisfero occidentale e una ridislocazione delle forze (cfr. Venezuela, Groenlandia, Panama)
N: Nato. L’ultimatum agli alleati, a ottant’anni dal piano Marshall, è stato: investite di più nella difesa, vostro è il quartiere, vostra la sicurezza. Il Segretario generale, Mark Rutte, è così contento che bacerebbe il suo azionista di maggioranza: l’ha chiamato “paparino”.
O: Onu. Non serve a niente. Trump ha ridotto i finanziamenti all’organizzazione, ha accusato l’ente di promuovere un “globalismo distruttivo” e di finanziare indirettamente l’immigrazione illegale. È passato come uno schiacciasassi sul multilateralismo: «Le Nazioni Unite hanno un potenziale tremendo, ma le parole vuote non fermano le guerre».
P: Petrolio. “Drill, baby, drill”, è un urlo di battaglia. L’amministrazione ha eliminato le restrizioni ambientali per le trivellazioni in territori federali. Perché? «Se l’America limita la produzione di energia, non si riduce la domanda, sposta la produzione verso Russia, Venezuela e Iran, i cui leader non si preoccupano dell’ambiente».
Q: Quoziente Intellettivo. La linea è che il governo debba essere guidato da un’“élite cognitiva” (avercene). Trump si vanta del suo Q.i, è un «very stable genius», e di quello dei suoi sodali, come Musk, che per questo era stato messo alla guida del Dipartimento per l’efficienza contro l’ottusità della burocrazia tradizionale.
R: Reindustrializzazione. Dovrebbe essere uno degli effetti dei dazi: Trump ha promesso al cuore industriale del Paese che avrebbe spinto le aziende a spostare la produzione sul suolo americano per evitare i costi di importazione e riportare così i posti di lavoro nelle fabbriche, dalla manifattura alle acciaierie, fatte a pezzi dalla globalizzazione.
S: spazio. Urge un’accelerazione verso la colonizzazione spaziale. Con l’ordine esecutivo “Ensuring American Space Superiority” ha spostato l’asse della Nasa dalla ricerca scientifica pura al dominio strategico e commerciale: gli astronauti saranno sulla Luna entro il 2028 e una bandiera garrirà su Marte entro il decennio. «Inseguiremo il nostro destino manifesto tra le stelle», ha dichiarato nel discorso inaugurale.
T: transazionale. Trump è un affarista e la transazione, lo scambio è presto detto: non chiedetevi cosa Washington può fare per gli altri, ma cosa gli altri possono fare per Washington.
U: Ucraina. Voleva la pace in 24 ore, non gli è riuscita, ha ridotto la guerra a un conflitto regionale, non versa più un dollaro, ci pensino gli europei (“faraway deals for faraway issues”, “affari lontani per questioni lontane”). Per lui è diventato un tassello dell’enorme dossier con Mosca.
V: Vance, James David. È l’erede designato del movimento Maga e, soprattutto, è il ponte tra il populismo della Rust Belt e i finanziatori della Silicon Valley.
X: Xi Jinping. Il rapporto ha avuto alti e bassi e i dazi sono andati di conseguenza. A Busan, a fine ottobre, hanno concordato una tregua nella guerra commerciale. Ma per le due superpotenze la regione dell’indopacifico resta terreno di scontro.
Y: Ymca. La canzone della Trump dance.
W: Witkoff, Steve. È il perno della diplomazia trumpiana, manda in pensione diplomatici di carriera che pontificano di de-escalation e generano caos (cfr. Primavere arabe, Africa Sub Sahariana, Cecenia, Kosovo: tutti nella serie “gli accordi intelligenti”) e dà mano libera a deal-maker di fiducia provenienti dal mondo del business. A Gaza ha funzio nato.
Z: Zero Tolerance. «C’è un nuovo sceriffo in città», ha detto. Ovvero, pugno di ferro nella gestione dei confini, contro la criminalità e le proteste, con l’invio frequente di forze federali nelle città in rivolta. L’idea non è piaciuta alla Corte federale.