Eva Kaili
Ci voleva il Qatargate per scoprire che la superiorità morale della sinistra è concreta quanto le favole? Figuriamoci: quell’aurea, sempre che sia mai esistita davvero, è sepolta da un pezzo. L’inchiesta che sta terremotando i socialisti europei ha comunque svelato un fatto significativo: il garantismo batte pure da quelle parti. Vivaddio aggiungiamo, con un “ma” bello e grosso: a questo, però, ci arriviamo.
Che cosa avvenendo? Che al Pd il trattamento riservato dai magistrati all’ex vice presidente dell’Europarlamento Eva Kaili – arrestata con il compagno Francesco Giorgi – proprio non va. A farlo presente su Il Riformista è l’eurodeputato Massimiliano Smeriglio: «Quello che sta accadendo intorno al Qatargate e alla carcerazione di Eva Kaili appare gravissimo». Sotto accusa le condizioni della socialista nelle patrie galere belghe, stabilite dal giudice istruttore Michel Claise: interprete di uno “stile” ribattezzato Mani pulite in salsa Ue. La Kaili, denuncia Smeriglio citando l’avvocato dell’esponente del Pasok, fra le altre cose è stata in isolamento «per sedici ore in una cella di polizia, non in prigione, e al freddo.
Le è stata negata una seconda coperta e le hanno tolto il cappotto, la luce della stanza era sempre accesa impedendole di dormire, era nel suo periodo di ciclo mestruale con abbondanti perdite di sangue e non le era consentito lavarsi».
Per l’europarlamentare si tratta di «tortura»: nei confronti, oltretutto, di un’accusata perla quale vale «sempre la presunzione di innocenza». Proprio sulla tutela di questa garanzia l’Europa in questa vicenda si starebbe giocando «un passaggio di civiltà decisivo. Le lapidazioni combattiamole ovunque...». A dargli manforte è giunta Alessandra Moretti che ha citato l’altro elemento più che discutibile del regime a cui è sottoposta Kaili: aver potuto vedere la figlioletta appena due volte in 45 giorni di detenzione: «Non è questa l’Europa dello Stato di diritto in cui credo». Ricapitoliamo. Dal Nazareno giustamente protestano contro alcuni metodi degli inquirenti belgi: espressione, dicono, di «populismo giustizialista» (sic!).
Metodi che sembrano ricalcare certe pratiche viste anche in Italia – carcere duro e preventivo, approntato quasi come strumento di pressione (incluso il fatto di separare una mamma dalla figlia per così tanti giorni) – e per questo invocano a braccia allargate il sistema delle garanzie e la presunzione di innocenza che, ricordiamolo, vale fino al terzo grado di giudizio. Concordiamo su tutto “ma”? Ci voleva uno dei loro – anzi più di uno – per farglielo capire? Meglio tardi che mai.