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Paolo Gentiloni ininfluente e senza poteri esecutivi: la sua fu una vittoria di Pirro

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Michele Zaccardi
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Ammettiamo che ci sembra tutto piuttosto strano. Perché se a sinistra pensano davvero che la nomina di Raffaele Fitto a commissario europeo e vicepresidente esecutivo rappresenti una diminutio del ruolo dell’Italia, beh, è proprio il caso di dire: «Toglietegli il vino».

Che Roma sia uscita sconfitta dalla partita delle nomine comunitarie, come vuole la vulgata dell’opposizione e dei suoi giornali (che, per carità, ci sta in quel gioco delle parti che è la politica), pare una ricostruzione fantasiosa. «Vittoria di Pirro per Meloni», titolava ieri Repubblica, con malcelato (e forzato) compiacimento. Certo, i portafogli più pesanti – Industria, Economia e Concorrenza (più transizione ecologica) – se li sono accaparrati Francia, Lettonia e Spagna.

Ma va anche detto che le scelte di von der Leyen rispecchiavano, in certa misura, la composizione della maggioranza che l’ha eletta e da cui il centrodestra, con Lega e Fdi, si era sfilato. E, dunque, il solo fatto di aver ottenuto una vicepresidenza esecutiva e la supervisione di un capitolo importante come le politiche di Coesione rappresenta comunque una vittoria.

 

 

 

Ma soprattutto le geremiadi della sinistra suonano un po’ capziose. A Bruxelles, l’Italia sarà infatti rappresentata da Fitto, che prenderà il posto di Paolo Gentiloni. E non ci pare che l’ex premier abbia brillato in questi ultimi cinque anni. Certo, Gentiloni ricopriva il ruolo di commissario all’Economia, ma non era vicepresidente, tantomeno esecutivo. E per di più doveva sottostare a Valdis Dombrovskis che, da vicepresidente, era chiamato a vigilare sul suo operato. Insomma, l’Italia, con Fitto, sembra avere qualche carta in più da giocare.

Poi, va detto, che, vuoi per indole, vuoi per la tradizionale subalternità dimostrata dal Pd in Europa, il conte Paolo Gentiloni Silveri di concreto ha fatto poco o nulla. Certo, il Covid e la guerra in Ucraina, con la conseguente crisi energetica, hanno cambiato le priorità a Bruxelles, che ha dovuto agire in una logica emergenziale. Ma la sospensione dei vincoli Ue sui conti pubblici ha pure facilitato il lavoro all’ex premier. Che non ha dovuto affannarsi più di tanto per tutelare gli interessi italiani in Europa. E forse è stato pure un bene, visto che immaginarlo ad azzuffarsi con Dombrovskis o con qualche falco del Nord per spuntare un po’ di deficit in più a favore dell’Italia è esercizio improbo. Flemmatico e pacioso, Gentiloni non ha proprio il physique du rôle dello statista pronto a battere i pugni sul tavolo.

E poi se è vero che Fitto, in quanto esautorato dal portafoglio dell’Economia e competente sui fondi europei, non possa avere voce in capitolo sulla correzione dei conti pubblici richiesta all’Italia, va anche detto che la Commissione si limita ad applicare le regole. E se le regole sono rigide, c’è poco da fare. Tant’è che a giugno, tornato in vigore il Patto di Stabilità, sospeso dal 2020, Bruxelles ha aperto una procedura di infrazione per deficit eccessivo nei confronti del nostro Paese. E Gentiloni, commissario all’Economia, non ha potuto aprire bocca. Insomma, stracciarsi le vesti perché Fitto non avrà il portafoglio che fu dell’ex premier dem è un po’ esagerato. Certo, nobile è nobile. Ma è anche un uomo del Pd. E pertanto allergico, per costituzione, alla tutela degli interessi nazionali. Insomma, sempre meglio un Fitto alla Coesione che un Gentiloni all’Economia.

 

 

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