Caro direttore, l’indagine giudiziaria che coinvolge Federica Mogherini e l’ambasciatore Stefano Sannino si è prestata a letture politiche interne sui media nostrani. Tuttavia, la vicenda suggerisce importanti implicazioni internazionali, per lo più ignorate. Ciò che colpisce non è tanto la natura dell’irregolarità contestata, quanto la forza dell’azione investigativa e il momento in cui arriva. L’inchiesta riguarda un progetto di entità modesta (un milione di euro è un budget minore nei tender europei) e interviene con modalità inusualmente incisive rispetto ai reati ipotizzati. La condivisione di informazioni riservate per favorire alcuni contractor è, ahimè, una degenerazione diffusa da tempo. Già più di vent’anni fa l’Olaf (ufficio europeo perla lotta antifrode) la segnalava come prassi endemica, soprattutto nei programmi di assistenza tecnica: una deriva facilitata dal sistema chiuso con cui opera la Commissione, privo di controlli esterni effettivi e caratterizzato dalla sovrapposizione dei ruoli di parte in causa e di arbitro. Basti dire che i valutatori “indipendenti” vengono pagati a lavoro concluso e accettato proprio dal valutato, ovvero dalla Commissione stessa (sic). È per questo che il tempismo dell’attuale inchiesta appare tutt’altro che banale. Il merito giudiziario seguirà il suo corso, ma la scelta di intervenire ora, con questa intensità, richiede una riflessione più ampia.
Se esiste un movente esterno che ha accelerato il caso, lo si può rintracciare negli innegabili effetti politici già in atto, distribuiti su tre piani. Primo- questo nuovo scandalo arriva in contemporanea con le accuse di corruzione in Ucraina. Anche se i due dossier non sono collegati, nella percezione pubblica finiscono per sovrapporsi, alimentando una “questione morale” ormai utilizzata come strumento politico, dentro e fuori l’Europa. È un effetto che investe direttamente la Commissione, riducendone lo spazio di manovra su due partite centrali. Una riguarda il riallineamento geopolitico in corso tra Washington, Mosca, Cina e India. Un processo che ridisegna gli equilibri globali e nel quale l’Unione rischia di essere relegata al ruolo di semplice pedone nella metà della scacchiera sotto influenza statunitense. L’altra riguarda la credibilità stessa della Commissione nel promuovere spesa – il suo principale strumento di potere – nei capitoli strategici delle politiche europee, dalla transizione verde al sostegno all’Ucraina.
Secondo - benché i media si siano concentrati sul nome della Mogherini, dal punto di vista del policy making europeo il vero “big name” colpito è Sannino, potente direttore generale a capo delle politiche della Commissione in un’area cruciale come quella del Mediterraneo. Una funzione che, per sua natura, ha un peso operativo rilevante – ancora di più in una fase in cui l’Alta Rappresentante Kaja Kallas è totalmente sbilanciata sul dossier ucraino. Asceso ai vertici della Commissione non attraverso un percorso burocratico interno, ma per cooptazione dalla Farnesina- con cui manteneva un inevitabile allineamento di sensibilità – Sannino rappresentava anche un punto di raccordo per gli interessi nazionali italiani. Le sue dimissioni sono quindi un colpo per l’Italia e promettono di marginalizzare ulteriormente le politiche mediterranee della Commissione. A scapito di quei Paesi per i quali, tra crisi migratoria ed energetica, scenari come quello libico sono strategicamente importanti quanto, se non più, di quello ucraino.
Terzo – Benché formalmente incardinata sotto bandiera europea, l’inchiesta è di fatto di matrice belga. Difficile ignorare che cada in concomitanza con un raro momento di forte – e crescente – tensione tra la Commissione e il nuovo primo ministro belga, Bart De Wever, nettamente contrario all’ipotesi di utilizzare i fondi russi congelati presso Euroclear per finanziare l’Ucraina. Una posizione espressa con toni insolitamente duri per un capo di governo belga, che ha aperto una frattura politica immediata con Bruxelles. In un contesto piccolo ma affollato di istituzioni nazionali e internazionali come il Belgio, non è da escludere che questo clima di tensione abbia contribuito, per semplice osmosi, ad accelerare l’iter penale di una denuncia – una tra le tante – che pare essere stata presentata da un whistleblower qualche tempo fa. Un promemoria implicito alla Commissione che Bruxelles sarà pure la capitale europea, ma che magistratura e polizia locali restano pur sempre belghe.
*Ordinario di Storia e Politica degli Aiuti Internazionali Università di Urbino, Carlo Bo