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La linea Meloni è risultata ancora vincente: il vero pacifismo si chiama realismo

sabato 20 dicembre 2025

3' di lettura

Roma ha vinto, Berlino ha perso, Parigi esce dall’angolo, Kiev è soddisfatta, Washington approva, Mosca non ha altre scuse per sottrarsi al negoziato. La partita europea sui beni russi da usare per sostenere l’Ucraina si chiude con una prova di forza diplomatica di Giorgia Meloni che ha riportato con i piedi per terra i leader dell’Unione.

Ci sarà un prestito Ue da 90 miliardi, usare i beni russi era una mossa rischiosa per cinque motivi:

1. C’era la prospettiva concreta di finire di fronte a un arbitrato internazionale e perderlo rovinosamente, con l’obbligo paradossale di dover risarcire con gli interessi Mosca. Per questo il Belgio, lo Stato più esposto, ha alzato il muro;

2. Utilizzando quei beni in favore dell’Ucraina, l’Europa si sarebbe privata di una potente carta negoziale da usare con la Russia, andare al tavolo della guerra e della pace con Putin avendo una mano legata dietro la schiena è un suicidio. L’Unione cosa poteva offrire in cambio al Cremlino, oltre agli asset congelati? Se escludiamo una per ora remota riapertura del rubinetto del gas russo, nel mazzo dell’Unione c’è poco, la grande partita la giocano altri, gli Stati Uniti, l’Ucraina e naturalmente la Russia;

3. L’Europa con l’operazione sugli asset avrebbe esposto le aziende che operano in Russia alla ritorsione del Cremlino, per la sola Italia il valore oscilla tra i 15 e i 19 miliardi di euro e riguarda aziende di primaria grandezza, in particolare nel settore bancario;

4. «La Russia deve pagare», dicono i paladini della pace in salotto. Vero, ma quello è il mondo ideale, nella realtà le cose funzionano così: conta quello che c’è scritto nei trattati, le riparazioni di guerra le pagano gli sconfitti, lo raccontano i documenti diplomatici, i libri di storia, i testimoni di un’epoca, le memorie dei grandi leader. Tutto quello che è fuori dai trattati è pari a uno zero assoluto.

5. Un buon negoziato evita la guerra, uno cattivo la prolunga e allarga. Fu così nel 1919 con i Trattati di Parigi, come intuì quel genio di John Maynard Keynes, i risarcimenti chiesti alla Germania innescarono l’ascesa di Adolf Hitler e la Seconda guerra mondiale. Bisogna stare molto attenti quando si maneggiano le conseguenze economiche della pace (titolo del libro profetico di Keynes). Nel caso dell’Ucraina non c’è un vincitore né uno sconfitto, non può esserci per ragioni che sfuggono solo all’europeista che non ha mai letto un libro di storia.

L’obiettivo del negoziato in corso non è quello di stabilire chi vince, chi perde e chi paga, ma di fermare il conflitto, ridisegnare i confini, costruire un sistema di sicurezza sul fianco Est dell’Europa. Giorgia Meloni lavora a questo progetto, l’unico possibile, non a una pace retorica che fa solo danni e allontana la speranza.

La leadership italiana ha evitato all’Unione un errore strategico e consentito di recuperare l’unità all’interno del Consiglio europeo, ha evitato di incagliare il confronto con Mosca e ha sminato il rischio di un’escalation su più livelli e scenari. Meloni ha maturato una lunga esperienza, ne ha fatto tesoro e si vede, sa che il vero pacifismo si chiama realismo.

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