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Il segreto del successo di Marine Le Pen sono i gay

di Nicoletta Orlandi Posti domenica 30 marzo 2014

3' di lettura

Sono i gay a fare la differenza. Almeno in Francia, dove lo sdoganamento del Front National è ormai cosa fatta. Ci ha pensato il quotidiano di estrema sinistra Libération, non appena giunta in redazione la notizia che il candidato lepenista Steeve Briois, eletto sindaco al primo turno alle elezioni di domenica scorsa, è omosessuale. Il 24 marzo, un commento di Luc Le Vaillant titola con sollievo «Ah beh, è gay» pur osservando con stupore che «si può essere gay e Fn, come si può essere donna e anti-abortista, nero e nemico di Mandela, musulmano e contro il velo, ebreo e contrario all’esistenza dello Stato d’Israele, cattolico e a favore dell’eutanasia. L’omosessualità non è evidentemente patrimonio di una parte politica». Non se n’era ancora accorto nessuno, sebbene la Manif pour Tous, per ribadire la propria contrarietà al matrimonio fra persone dello stesso sesso, avesse eletto come proprio portavoce un omosessuale dichiarato come Jean-Pier Delaume-Myard. Anzi, il punto è proprio questo. Briois è atteso al varco. Cosa farà quando si tratterà di applicare la legge Taubira, promulgata nel maggio scorso, che ha introdotto le nozze gay? si chiede Le Vaillant. La questione è tutt’altro che chiusa, come vorrebbe il Consiglio Costituzionale francese, che il 18 ottobre ha stabilito che i sindaci e gli ufficiali di stato civile non possono rifiutarsi di celebrare matrimoni omosessuali per ragioni morali o religiose e non hanno diritto all’obiezione di coscienza. Anzi, se persistono nel rifiuto, sono passibili di una pena detentiva fino a tre anni di reclusione. Ma i sindaci obiettori faranno appello alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo e gli eletti locali e nazionali che li sostengono in Francia sono oltre ventimila. Fra questi ultimi, ci saranno oppure no Briois e i colleghi del Fn? Parrebbe di no, a giudicare dalle loro dichiarazioni ondivaghe, imbarazzate e incoerenti e soprattutto dal mancato sostegno di Marine Le Pen alle manifestazioni contro la legge Taubira. Alcuni, come il settimanale di destra Minute, hanno provveduto, sin dal gennaio 2013, a togliere il velo su una presunta «lobby gay» che si identificherebbe con il cerchio magico della presidentessa del Fn e, soprattutto con il suo vicepresidente Florian Philippot, che peraltro non ha mai fatto coming out. In parte, il fenomeno è attribuito a una «destrizzazione» della comunità omosessuale francese, che vede l’islam come una minaccia. Dall’altro lato, però, non si deve sottovalutare il tentativo di Marine di togliersi l’etichetta di reazionaria proprio attraverso la vicinanza a una comunità alla quale gli storici dell’estrema destra francese Joseph Beauregard e Nicolas Lebourg hanno dedicato un capitolo intero della loro opera Dans l’ombre de Le Pen, Une histoire des numéros 2 du FN. E anche Octave Nitkowski, autore del libro Il Fn delle città e il Fn delle campagne, che per primo ha rivelato l’orientamento del suo concittadino Briois, spiega a Libero che «l’elettorato di Hénin-Beaumont non era al corrente, malgrado i miei scritti, dell’omosessualità del candidato. Ma è gente di ampie vedute e la cosa non avrebbe posto loro alcun problema». Quel che conta, politicamente, è che a suo avviso «la presenza degli omosessuali ha certamente cambiato la posizione del partito». Insomma, se un tempo il fondatore Jean-Marie Le Pen insultava i pédé, ora questi sono fra i consiglieri più ascoltati di sua figlia. Al punto che in un’intervista a InRocks, Nicolas Lebourg individua anche qualche motivazione inconscia, che coinvolge la psicologia di Marine, la quale «ha evidentemente un complesso d’inferiorità e questo gruppo la rassicura, lusinga il suo ego. Sono capaci di lavorare in modo incondizionato per lei. E questa piccola truppa la valorizza. Apparentemente, c’è una lotta affettiva per lei, il suo gruppo tenta di monopolizzarla affettivamente, di separarla da suo padre». Per loro, è un’icona vera e propria. Tanto che la chiamano Dalida. di Andrea Morigi

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