Roma, 20 set. - (Adnkronos) - Ammoniaca, idrocarburi e biossido di carbonio. Sono le alternative naturali ai gas refrigeranti tradizionali più impattanti, e saranno loro a rappresentare il futuro del settore, con il paradosso di essere i primi fluidi utilizzati per refrigerare già dal XIX secolo, quando si ricorreva ad acqua, ammoniaca, anidride solforosa, anidride carbonica ed eteri, etano e propano. Abbandonati negli anni '30, fecero la loro comparsa i Cfc e gli Hcfc, senza sapere che sarebbero stati, assieme agli Halon, responsabili del fenomeno del buco nell'ozono e dell'effetto serra. A causa dell'impatto ambientale, Cfc e Hcfc sono stati messi al bando nei Paesi industrializzati dal protocollo di Montreal, ma la loro produzione è ancora consentita nei Paesi in via di sviluppo. Nel processo di sostituzione di Cfc, Hcfce Halon un ruolo importante lo hanno avuto gli Hfc, ma anche in questo caso queste sostanze sono risultate climalteranti per il loro elevato potenziale di effetto serra e sono inseriti nel paniere dei gas serra controllati dal protocollo di Kyoto. La soluzione, quindi, è un ritorno al passato. Ad oggi, a livello mondiale, nel settore della refrigerazione industriale le quote di mercato già conquistate dalle tecnologie a base di ammoniaca variano dal 90% in Europa al 95% negli Usa: basta pensare che sono refrigerati ad ammoniaca il terminal 5 dell'aeroporto di Heathrow e l'Energy Center delle Olimpiadi a Londra, gli edifici governativi di Mauritius e l'aeroporo di Auckland. Propano, isobutano, propilene, etano: gli idrocarburi (o Hc) sono gas naturali per eccellenza e, come refrigeranti, sono considerati 'amici dell'ambiente' perché non provocano effetto serra. Sono già ampiamente usati nei sistemi frigoriferi di piccola capacità: il 90% dei frigoriferi domestici venduti in Europa funziona con idrocarburi. E poi c'è il biossido di carbonio, cioè l'anidride carbonica, che dopo essere stato a lungo dimenticato ora viene sempre più utilizzato nella refrigerazione industriale e nelle pompe di calore. Ad oggi in Europa solo il 3% delle pompe di calore domestiche funziona a Co2, con 16 produttori Ue, mentre in Giappone il mercato è già integralmente basato su questa tecnologia (3,5 milioni di pezzi, 20 produttori e il 98% del mercato) e la Cina sta potenziando la sua capacità produttiva e supera già le 100.000 unità annue.