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Letta sa decidere. Solo sulle poltrone

Il premier rinvia ogni decisione, ma non quando si tratta di assegnare posti ben retribuiti: ne ha già arraffati 70
di Andrea Tempestini domenica 7 luglio 2013

3' di lettura

Il governo Letta sembra indeciso a tutto tranne quando c’è da nominare qualcuno. Ieri l’esecutivo ha scelto di piazzare ai vertici di Finmeccanica, il colosso pubblico che opera nel settore aerospaziale e negli armamenti, l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Nulla da dire per quanto riguarda il profilo del neo presidente, che essendo stato anche ai vertici dei servizi segreti e sottosegretario con delega agli affari riservati ha il curriculum giusto per occuparsi di roba che scotta tipo Finmeccanica (come  è noto l’azienda è invischiata in alcune indagini, la più clamorosa delle quali è quella che riguarda una presunta tangente pagata in India per piazzare degli elicotteri). De Gennaro è persona capace e assai accorta per non scivolare nonostante la vischiosità del percorso. No, ciò che ci preme far notare non è tanto la sua storia, quanto che le scelte in cui palazzo Chigi non mostra esitazioni sono esclusivamente le nomine. Non l’Imu, l’Iva o la riforma delle pensioni, questioni che vengono di volta in volta rinviate a data da destinarsi, ma le poltrone. Da quando ha preso il posto di Mario Monti, il presidente del consiglio non se ne è fatta mancare una, non lasciandone libera nessuna. Il nostro Franco Bechis ha provato a fare qualche conto e ha scoperto che ogni giorno l’esecutivo ha piazzato qualcuno. In tutto si parla di una settantina di persone: un record se si pensa ai governi che hanno preceduto quello delle larghe intese. Né Monti, né Berlusconi in passato si erano infatti dati tanto da fare per piazzare uomini loro nei posti chiave. Altro che maggioranza precaria, qui l’unica cosa che non dà segni di precarietà  o di stanchezza è la fabbrica degli incarichi, che vengono distribuiti a raffica, come mai prima d’ora era accaduto. Il premiato poltronificio di Palazzo Chigi è la dimostrazione che l’Italia può essere in crisi e avere anche difficoltà a pagare gli stipendi pubblici, ma non c’è affanno se si tratta di nominare un presidente o un consiglio di amministrazione. La spending review, ammesso che esista ancora, non tocca nessuno delle decine di funzionari e servitori dello Stato che vengono di volta in volta piazzati in una delle tante società che fanno capo alla politica. Crisi o non crisi, in pensione o provvisoriamente in aspettativa, un posto a un politico o a un alto papavero della pubblica amministrazione non si nega mai. Non si tratta, come è ovvio, solo di nomine ministeriali, ma anche di indicazioni che provengono da enti locali, comuni o province. In totale c’è chi ha stimato in almeno 30 mila le poltrone occupate in questo modo dalla politica, una cifra di gran lunga superiore a quella dei parlamentari e in assoluto meno contestata di quella degli onorevoli. La casta di Montecitorio e Palazzo Madama (ma anche delle regioni e delle province) non passa giorno che non finisca nel mirino della pubblica opinione. Quella delle municipalizzate e delle partecipate dallo Stato  invece può fare ciò che vuole spesso senza rendere conto a nessuno.  Nel passato il centrodestra aveva provato a smontare questa gioiosa macchina di posti, cercando di restituire al mercato, e quindi a criteri economici, alcuni distributori automatici di prebende. Purtroppo un referendum voluto dalla sinistra (dai Cinque stelle e dall’Italia dei valori in particolare) ha spazzato via la riforma e dunque decretato che agli elettori piace regalare alcune decine di migliaia di stipendi a politici, amici dei politici e trombati e/o raccomandati. Forse ciò è avvenuto all’insaputa degli italiani, i quali si sono fatti suggestionare dalla paura che l’acqua diventasse privata quando invece si voleva solo evitare che qualcuno se la bevesse a scrocco, sta di fatto che è accaduto. E quanto ciò sia un bene per le casse pubbliche lo si può appurare facendo un salto a Spezia, cittadina retta dalla sinistra, dove l’azienda dei servizi pubblici è un colabrodo pieno di debiti che mette in cassa integrazione i dipendenti. Come si possa rischiare di fallire distribuendo acqua e gas, cioè beni che qualsiasi famiglia consuma, è un mistero. Ma forse ancor più misterioso è perché Letta, invece di chiudere il poltronificio per trovare le risorse che servono a questo paese, continui a sfornare cariche. Invece di far crescere i posti di lavoro, fa crescere i posti per chi il lavoro non vuole tornare a farlo. A noi più che larghe intese queste sembrano larghe e comode sedute per chi le ottiene. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet

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