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Il piano del Partito Democraticoper tenersi il banco senese

Con la nazionalizzazione Mps passerebbe dal controllo del partito locale a quello nazionale attraverso il ministro dell'Economia di un possibile governo Bersani
di Andrea Tempestini domenica 3 febbraio 2013

Bersani e Mussari. Mussari e Veltroni

3' di lettura

di Sandro Iacometti Il Pd fa il Pd, e con Mps non c’entra. La prospettiva di aprire la banca ad altri soci, magari stranieri, sta però mandando in fibrillazione il partito. Per Massimo Mucchetti è inutile aspettare che la Fondazione sia costretta a vendere quote e che il Monte apra il capitale a caccia di risorse finanziarie. Sarebbe meglio, dice l’ex editorialista del Corriere della Sera ora candidato con il Pd, che «Mps pagasse gli interessi allo Stato sui Monti bond direttamente in azioni proprie». Nessun indugio, insomma, verso la nazionalizzazione. In questo modo, prosegue Mucchetti in un’intervista alla Stampa, «la banca potrebbe rafforzare ulteriormente la sua posizione patrimoniale e lo Stato entrerebbe subito nel capitale».  Secondo il giornalista sarebbe «ovviamente opportuno prevedere la presenza nel Cda della banca di due consiglieri nominati dal ministero dell’Economia, di cui uno anche nel comitato di controllo interno della banca». Il progetto è chiaro. Il Monte dei Paschi passerebbe senza soluzione di continuità dal controllo del Pd locale a quello del Pd nazionale, attraverso il ministro dell’Economia di un probabile governo Bersani o, al limite, attraverso l’ex deputato senese del Pd ed ex vicepresidente di Mps, oggi presidente della Cdp, Franco Bassanini. L’ingresso del Tesoro nel capitale e nel cda della banca permetterebbe, sempre secondo Mucchetti, di «trasformare il nuovo presidente della banca Alessandro Profumo e il nuovo amministratore delegato Fabrizio Viola, in commissari di fatti, senza passare per un commissariamento formale che il mercato non apprezzerebbe».  Più diretto, e inconsueto, l’affondo che arriva dalla Fondazione, che se la prende direttamente con Profumo, colpevole di voler tentare di salvare la banca con gli strumenti del mercato. «Il presidente di Banca Mps, con le sue dichiarate intenzioni di cercare nuovi soci disattende completamente il mandato ricevuto all’assemblea di ottobre 2012 dalla Fondazione Mps, l’ente che lo ha nominato a capo della Banca». A puntare il dito contro il manager è Paolo Mazzini, membro della Deputazione generale di Palazzo Sansedoni ma ancor prima segretario del circolo senese del Pd La Lizza. «Negli ultimi giorni», tuona Mazzini, «Profumo ha più volte ribadito di volere nuovi soci per la banca, ha addirittura detto di sognare un socio finanziario a lungo termine. Un’operazione del genere è possibile soltanto se viene concluso a breve l’aumento di capitale fino a un miliardo, per il quale il Cda ha ricevuto la delega dall’assemblea dei soci del 9 ottobre scorso. L’aumento di capitale, però, è stato autorizzato dalla Fondazione con la clausola che venga valutato solo come estrema ratio». In altre parole, la ricapitalizzazione non s’ha da fare.  Tesi ardita per la Fondazione, che infatti a stretto giro ha scaricato Mazzini, facendo sapere che le sue opinioni sono strettamente personali. La realtà è che senza interventi sul capitale i nuovi soci potrebbero arrivare comunque. I debiti della Fondazione nei confronti di Jp Morgan, Mediobanca e Credit Suisse sono infatti regolati da un meccanismo di pegno a garanzia legato alla performance del titolo Mps in Borsa. In sostanza, al di sotto di un certo valore per le banche scatta il diritto di escussione.

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