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Vittorio Feltri rischia il carcere per la "patata bollente". L'appello al ministro Cartabia: "Ora ci pensi lei"

di Vittorio Feltri sabato 25 settembre 2021

Vittorio Feltri  

2' di lettura

Facciamo un minimo di chiarezza nel campo della stampa, del giornalismo. Recentemente la Corte Costituzionale ha emesso una sentenza molto chiara. Questa. Le norme vigenti che obbligano il giudice a punire il reato di diffamazione commesso su quotidiani, settimanali e televisioni, aggravata dalla attribuzione di un fatto determinato, sono incostituzionali. La minaccia dell'applicazione del carcere può produrre infatti l'effetto di dissuadere i giornalisti dall'esercizio della loro cruciale funzione di controllo dell'operato dei pubblici poteri. La presente pronuncia della Consulta contiene però una precisazione. Il giudice deve punire col carcere soltanto coloro che si siano resi responsabili di campagne - sottolineiamo campagne - di diffamazione con qualsiasi mezzo caratterizzate dalla diffusione di addebiti gravemente lesivi della reputazione della vittima, e compiute nella consapevolezza da parte dei loro autori della oggettiva e dimostrabile falsità degli addebiti stessi.

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Mi pare non esistano dubbi sulla limpidezza dell'intervento divulgato dalla Corte che vigila sulla corretta applicazione delle leggi e sulla necessità di adattarle allo spirito della Carta. E allora mi domando perché certi tribunali chiamati a giudicare cause di diffamazione facciano orecchio da mercante. Il prossimo 5 ottobre a Catania sarà emessa una sentenza che riguarda Pietro Senaldi e me, accusati di aver diffamato Virginia Raggi, sindaco di Roma, in quanto Libero cinque anni orsono pubblicò il seguente titolo: Patata bollente, riferito alla prima cittadina della Capitale. Ammesso e non concesso che tale titolo fosse offensivo non consisteva certo in una campagna diffamatoria. Che tale si concretizza soltanto mediante una serie di articoli che propaghino bugie.

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Nel caso mio e di Senaldi si parla di un solo articolo e di un unico titolo, pertanto la richiesta della Pm catanese di buttare me in galera per oltre tre anni e il mio collega per mesi e mesi risulta in contrasto col dispositivo della Consulta, che in materia giudiziaria è l'autorità assoluta. Prego di conseguenza la ministra Cartabia, che della Corte Costituzionale è per giunta stata presidente, di intervenire per bloccare quanto sta avvenendo in un'aula di giustizia dove una Pm chiede la prigione non potendola esigere per due persone che non hanno svolto alcuna campagna diffamatoria ma si sono limitate a pubblicare un articolo. Sicuro di un suo intervento riparatorio, gentile Guardasigilli, la ringrazio anticipatamente e le auguro buon lavoro, nella speranza che anche noi scribacchini si possa continuare a svolgere il nostro senza la minaccia di finire dietro le sbarre. 

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