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Magistratura, leggi da cambiare: ecco come separare giustizia e politica (e perché farlo)

Bruno Ferraro
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Aggiunto Onorario Corte di Cassazione Nella nostra Costituzione esistono *Presidente due principi assoluti ed inderogabili: quello della divisione dei poteri e quello della irretroattività della sanzione penale. Il primo costituisce l'essenza dello Stato di diritto, nel quale l'emanazione della legge spetta al Parlamento (in caso di necessità ed urgenza anche al Governo) mentre compito del giudice è quello di interpretare ed applicare le norme senza sostituirsi ai titolari del potere legislativo. Il secondo principio è una conquista di civiltà chiaramente scolpito nell'art. 25, secondo cui nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso. Quando, anni addietro, fu emanata la cosiddetta legge Severino (dal nome del Ministro della Giustizia del Governo Monti che adottò i decreti attuativi di norme varate in precedenza da uno schieramento politico numericamente consistente), le due norme prima citate furono bypassate. 

Nell'intento di punire i politici responsabili di reati contro la pubblica amministrazione si intervenne variamente, per sanzionare con la decadenza quanti avevano riportato condanne con sentenza definitiva. Non sfuggì, però, agli attenti osservatori immuni da pregiudiziali politico -ideologiche, che la normativa ebbe un'applicazione variabile a seconda degli umori e degli interessi delle forze politiche numericamente dominanti. Illuminante fu il caso dell'ex Premier Silvio Berlusconi, condannato per frode fiscale con sentenza della Cassazione (della cui legittimità è lecito quanto meno dubitare alla luce dei recenti noti sviluppi dell'intera vicenda) ed espulso dal Senato con delibera adottata senza il rituale scrutinio segreto (sic!). In controtendenza, sia il Sindaco di Napoli Luigi De Magistris sia il Governatore della Campania Vincenzo De Luca rimasero al loro posto benchè condannati per abuso di ufficio con sentenza non definitiva. Lungi da me l'intenzione di scomodare la celebre espressione di Giolitti secondo il quale la legge si applica ai nemici e si interpreta per gli amici: è certo però che la legge Severino ha avuto applicazioni ondivaghe e contradditorie, nei vari non pochi casi di personaggi politici meno famosi che sono incappati nelle sue maglie. 

Il fondo si è toccato quando, per legittimare la decadenza per fatti anteriori alla legge, si è ritenuto che essa non prevede una sanzione penale ma una sanzione amministrativa, dimenticando che la Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo, almeno dal 2007, ha attribuito natura penale e non amministrativa a tutte le misure afflittive, persino alla confisca dei beni ed alla perdita di punti sulla patente. Mi sembra quindi inevitabile affermare che siamo in presenza del classico due pesi e due misure. L'aspetto più preoccupante, però, è il dover constatare che la classe politica è alla mercè della giustizia, in barba allo sbandierato principio della separazione dei poteri e dell'equilibrio di cui dovrebbe essere garante il Capo dello Stato. Per converso, lo stesso rigore non vale per i magistrati, anche nel caso di errori inescusabili, in quanto sono ad essi riconosciute tutte le garanzie difensive, ivi compreso il privilegio di essere giudicati da loro colleghi, sia in sede penale sia in sede disciplinare davanti all'organo di autogoverno costituito dal Consiglio Superiore della Magistratura.

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