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Nicola Gratteri, l'uscita a vuoto sul "regalo" alle mafie

Iuri Maria Prado
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Siccome non ragioniamo come qualche pubblico ministero, e siccome i reati d’opinione non ci piacciono, non pensiamo al vilipendio se apprendiamo che un noto magistrato, Nicola Gratteri, dice che le riforme annunciate dal ministro Nordio «saranno solo un regalo alle mafie». Anche perché il procuratore di Catanzaro, ne siamo certi, non intendeva attribuire alla maggioranza di governo l’intenzione di favorire la criminalità organizzata: semplicemente, immaginiamo, il più celebre rappresentante della magistratura televisiva preconizza che, se approvate, le riforme in cantiere, e quelle sulle intercettazioni in particolare, avrebbero quell’effetto di favoreggiamento del potere criminale.

 

 


Anche così ridimensionata, tuttavia, l’inopportunità del giudizio di Nicola Gratteri è evidente. Un funzionario di Stato, di rango altissimo, e proprio nel settore dell’amministrazione della Giustizia, imputa al governo di fare regali alla mafia: cioè non solo di abdicare alla propria funzione, ma addirittura di tradirla assumendo provvedimenti che fanno gli interessi delle organizzazioni che dovrebbe invece contrastare. E a questo punto, siccome Gratteri ha lanciato l’allarme, il governo non potrà nemmeno dirsi incosciente di apprestarsi a fare quel regalo e sarà perciò ulteriormente, e più gravemente, responsabile.

 

 


Il problema è che quest’abitudine togata alla requisitoria contro le riforme che non piacciono pretende di accreditarsi in base alla ostentata dottrina e alla indiscutibile fama del magistrato di turno che vi si abbandona: col duplice dettaglio che quella non è dottrina, ma una opinabilissima opinione, che vale quanto quella di un elettore qualunque; e che quella fama è l’effetto del malcostume grazie al quale certa magistratura, appunto, è incoronata a giustiziera dell’ordinamento democratico. Che prevede il voto libero a chi è incaricato di fare le leggi, non la sottomissione a chi avrebbe il dovere di applicarle.

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