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Latina, toga arrestata: incarichi in cambio di tangenti

Paola Ferrari
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Giorgia Castriota, la giudice di Latina arrestata ieri con l’accusa di corruzione per aver ricevuto tangenti in cambio dell’assegnazione di incarichi nelle procedure giudiziarie, durante le fasi iniziali della carriera avrebbe ricevuto delle valutazioni di professionalità non positive. Da quanto si è appreso invia riservata (i fascicoli personali delle toghe sono coperti dal segreto da parte del Consiglio superiore della magistratura ndr), i suoi capi dell’epoca sollevarono più di una perplessità sul suo operato. Nonostante i giudizi non lusinghieri, la magistrata è però rimasta sempre in servizio, anche con incarichi di tutto rispetto: un giallo a cui qualcuno dovrebbe dare una risposta.

 

 


La scorsa estate il suo nome balzò agli onori delle cronache per un clamoroso errore giudiziario: l’arresto della sindaca di Terracina Roberta Tintari (FdI) nell’indagine Free Beach condotta dalla capitaneria di porto e dal comando dei carabinieri della città pontina. L’indagine, finita in flop clamoroso, ebbe notevoli risvolti politici e sulla vita della città con le dimissioni della sindaca ed il commissariamento dell’amministrazione comunale. Secondo il Riesame e la Cassazione, Tintari non avrebbe però dovuto essere arrestata e, conseguentemente, sarebbe dovuta rimanere ancora in carica. Tornando, invece, all’indagine nei confronti della magistrata, quest’ultima, come riportato dai suoi colleghi di Perugia nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, riceveva «sistematicamente» gioielli, orologi, viaggi e un abbonamento in tribuna d’onore allo stadio Olimpico per le partite della Roma. Un “classico”, si direbbe, dal momento che non sono poche le toghe che aspirano ad andare allo stadio senza pagare il biglietto. Senza considerare che fino a qualche anno fa il Coni distribuiva addirittura tessere vip a tutti i componenti del Csm.

Queste “utilità” arrivavano a Castriota dopo avere conferito irregolarmente incarichi di collaborazione a Silvano Ferraro e Stefania Vitto, anch’essi arrestati ieri. Il conferimento degli incarichi a loro due sarebbe avvenuto “al di fuori di qualsiasi criterio oggettivo” e in contrasto con la norma che stabilisce il divieto di assumere il ruolo di amministratore giudiziario e coadiutore da parte di coloro che hanno, con il magistrato che conferisce l’incarico, una “assidua frequentazione”.

 

 

 

La giudice di Latina- sempre secondo l’ipotesi accusatoria - non solo avrebbe direttamente nominato ed agevolato il conferimento degli incarichi a persone con cui intratteneva rapporti personali “consolidati”, ma avrebbe percepito parte dei compensi in denaro da lei liquidati o corrisposti a titolo di compenso dalle società sequestrate. Nella misura cautelare a Castriota vengono poi contestati “plurimi atti contrari ai doveri d’ufficio” nella la gestione delle società sequestrate, quali l’omessa vigilanza o la mancata denuncia di attività illecite da parte degli ex amministratori, ma anche condotte attive, come l’intenzione di portare le società al fallimento e nominare curatori gli stessi professionisti, “con lo scopo, verosimilmente”, di mantenere il controllo sulla procedura e non perdere la fonte di guadagno oltre a quello di tutelare sé stesso da ingerenze esterne. L’indagine è nata dalla denuncia presentata da un imprenditore che lamentava irregolarità e condotte non trasparenti che vi sarebbero state nella gestione delle società sequestrate. Sul punto la Procura di Latina non si sarebbe accorta di nulla. Sulla diffusione delle indentità degli arrestati è intervento il procuratore di Perugia Raffale Cantone che ha condotto l’inchiesta. «Pur consapevole dell'esigenza di dover garantire il diritto costituzionale ad essere considerati non colpevoli fino alla pronuncia di una sentenza irrevocabile di condanna e ribadendo che allo stato sussistono solo gravi indizi di colpevolezza e non certo prove di responsabilità, si ritiene, però, che nel caso di specie sussistano ragioni di interesse pubblico oltre che alla conoscenza dei fatti oggetto dell’indagine». 

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