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Chico Forti ritorna in Italia, la possibilità della "libertà condizionale"

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Sì, ma adesso che cosa succede? La verità è che possiamo solo fare ipotesi. Un po’ perché ogni caso è differente, un po’ perché l’accordo di trasferimento in Italia di Chico Forti è stato annunciato ma non reso noto nei dettagli, e poi non esiste una procedura standardizzata, da seguire alla lettera. La (buona) notizia, rilasciata venerdì sera dalla premier Giorgia Meloni, basta e avanza.

Sono 24 anni che l’imprenditore di Trento vive in una cella del carcere di massima sicurezza di Florida City. Cioè dall’11 ottobre del 1999, che era letteralmente il secolo scorso: 24 anni che fanno oltre 8.800 giorni. Dopo un processo controverso e una sentenza ancora più controversa e un numero di tentativi di rimpatriarlo che non si contano. Partiamo da qui: da ciò che è certo. È certo che Forti, come prima cosa, sarà mandato in una prigione federale, che dunque in ultima analisi dipende dalla Casa Bianca: la cella in cui sta ora appartiene invece a una struttura statale, della Florida. È una questione sostanziale: per la legge americana, un penitenziario statale non può disporre trasferimenti internazionali.

 

 

 

Il suo ritorno in Italia non sarà immediato. Il dipartimento di Giustizia Usa dovrà tramettere al corrispettivo ministero italiano la documentazione, che dovrà essere girata all’autorità giudiziaria, che a sua volta dovrà metterla in esecuzione. Non sono cose che avvengono nell’arco di qualche ora. Però non si torna indietro.

 

COMPONENTE POLITICA

È il dopo, semmai, che lascia aperte le possibilità. «In queste vicende le estradizioni coi Paesi dell’Unione europea sono più facili perché sono più normate», spiega Alessio Scandurra, coordinatore dell’Osservatorio Antigone, associazione che da anni monitora quel che avviene nei nostri istituti penitenziari: «Col resto del mondo, in linea di massima, ci sono degli accordi, dei trattati internazionali pre-esistenti che forniscono una sorta di cornice. Anche se, comunque, esiste una componente “politica”. Nel senso che, come in questo caso, gli Stati Uniti sono un Paese diverso dal nostro. Per esempio per come sanziona i reati ed esegue le pene. Un lavoro di mediazione si fa sempre».

«Si tratta - continua Scandurra, - di accordi che, di solito, prevedono che a un certo punto la persona possa eseguire la pena in misure alternative, come avviene con gli altri condannati in Italia. Noi, ai nostri ergastolani (Forti è stato condannato all’ergastolo “without parole”, cioè senza condizionale, ndr) diamo la possibilità, passati un po’ di anni, di chiedere alcune misure, e sarei sorpreso se si fosse stati disposti ad accettare condizioni troppo lontane da quelle che per noi sono la norma».

 

 

 

L’ERGASTOLO

È un aspetto centrale: l’ergastolo ostativo (il cosiddetto “fine pena mai)”, per l’ordinamento italiano, si applica ai capi mafia e non ai casi di omicidi correnti. «In Italia un ergastolano, a un certo punto, può chiedere la liberazione condizionale e, se gli viene concessa, di fatto diventa una persona libera. Ogni anno la si dà a migliaia di detenuti: è una libertà appunto condizionata, perché se viene commessa un’infrazione si torna ad eseguire anche il resto della pena», che non viene semplicemente stracciata. L’articolo 176 del Codice penale è chiaro, e lo è anche sulle tempistiche: devono passare 26 anni.

 

 

 

Forti ne ha già trascorsi dentro 24 in Florida. Valgono? «Certamente, il pre-sofferto americano conta», spiega Scandurra, «quindi, con le nostre regole sull’ergastolo ordinario, qualora su questo sia stato preso l’accordo e non si siano poste condizioni differenti, sarebbe quasi nelle condizioni di poterla chiedere». Lo ripetiamo, le nostre sono congetture basate su un ragionamento di massima, ma così facendo non si porrebbe nemmeno il problema di un’eventuale grazia da parte del presidente della Repubblica, che avrebbe ovviamente una portata più ampia. «Consideriamo, tuttavia, che già tornare in Italia, visto che Forti hai famigliari qui, rappresenta una condizione migliore. Anche in vista di una prospettiva d’uscita dal carcere». 

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