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Dossieraggi e depistaggi, la lezione per i grillini: chi di intercettazioni ferisce...

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Francesco Damato
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Da presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte si è sempre vantato di avere portato in Parlamento due ex magistrati famosi come Federico Cafiero de Raho, già procuratore nazionale antimafia, e Roberto Scarpinato, già procuratore generale della Corte d’Appello di Palermo. Eletti nelle liste del partito dell’ex presidente del Consiglio due anni fa l’uno alla Camera e l’altro al Senato. E assegnati entrambi, per la loro indubbia competenza, alla Commissione parlamentare antimafia, l’uno assumendone la vice presidenza e l’altro senza gradi, da semplice componente. Entrambi sono finiti in polemiche rumorose. Del primo è stata contestata la compatibilità per essere finita all’esame della Commissione una indagine della Procura di Perugia su uno scandalo di accessi abusivi a notizie riservate nella struttura della procura nazionale antimafia: scandalo esploso dopo la conclusione del mandato di vertice di Cafiero de Raho ma di pratica anche antecedente, almeno secondo i sospetti degli inquirenti.

Scarpinato si è trovato intercettato “casualmente”, ma per una trentina di volte, con un magistrato accusato di reati di mafia nella vicenda del depistaggio delle indagini sull’assassinio di Paolo Borsellino, finito anch’esso all’esame della commissione parlamentare antimafia. Il senatore Scarpinato ha ragione a dolersi, a dir poco, della presunta casualità di tante intercettazioni in cui è finito senza la doverosa autorizzazione della Camera di appartenenza, sopravvissuta nell’articolo 68 della Costituzione alla riforma fortemente limitatrice delle prerogative parlamentari approvata nel 1993 a furor di piazza. Cui Camera e Senato cedettero nel clima - sempre a dir poco - avvelenato delle indagini note come “Mani pulite”, condotte sul finanziamento illegale dei partiti e sui reati di corruzione, concussione e quant’altro che secondo l’accusa ne derivavano, o ne erano a monte.

 

 

 

I PROCESSI
Molti furono i processi neppure celebrati e molte le assoluzioni, ma l’impressione di una politica ridotta, anzi autoridottasi, ad un’associazione criminale rimase nell’immaginario collettivo. Con tutti quei cortei e quelle piazze inneggianti alle manette disposte nella solita via “cautelare” e ai magistrati che facevano “sognare” le folle. Scarpinato, dicevo, ha ragione a dolersi delle sue troppe e troppo “casuali” intercettazioni. Ma, vivaddio, ha ragione anche quel grande rompiscatole che è diventato per tutti Matteo Renzi prima a sinistra per il tentativo compiuto a suo tempo di modernizzarla, anche a costo di rottamarne i santini, o santoni, e poi anche a destra, almeno da quando si è offerto come componente di uno schieramento alternativo al governo in carica guidato dalla segretaria del Pd Elly Schlein, a dispetto dell’ambizione di Giuseppe Conte di tornare a Palazzo Chigi. E infatti Conte, che non gli ha mai perdonato di avergli fatto perdere nel 2021 la guida del governo mandandovi Mario Draghi, è insorto rivendicando l’incompatibilità con Renzi e liquidando come una invenzione giornalistica il cosiddetto campo largo antimeloniano.

Ora, hanno voglia Conte e i suoi parlamentari di avercela con Renzi ma non possono certamente smentirlo quando egli ricorda i tempi non certo lontani - anzi ancora attuali, nonostante la solidarietà espressa a Scarpinato- in cui i pentastellati di ogni tendenza, contiana o grillina, difendevano a spada tratta qualsivoglia intercettazione, anche la più arbitraria o sospetta, gridando: «Intercettateci tutti». Col sottinteso che solo a sentirsi a disagio da intercettati si è degni e meritevoli di perdere la copertura dell’articolo 15 della Costituzione, che ancora dice: «La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili: la loro limitazione- prosegue la norma costituzionale - può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge».

Ma che atto e atto, che garanzie e garanzie, hanno praticamente gridato per anni gli assatanati del giustizialismo, che hanno avvelenato la politica, anzi la società, più ancora di quanto non fosse già accaduto nella demolizione della cosiddetta Prima Repubblica. Vale per quegli o questi assatanati il vecchio proverbio che dice: «Chi semina vento raccoglie tempesta».

 

 

 

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