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Almasri, chi c'è nella Corte che giudicherà Giorgia Meloni e i ministri

venerdì 7 febbraio 2025

2' di lettura

Sarà una Corte composta da tre donne quella che giudicherà le condotte del presidente del consiglio Giorgia Meloni, dei ministri dell’Interno e della Giustizia, Piantedosi e Nordio, e del sottosegretario con delega ai servizi segreti Alfredo Mantovano per il caso del generale libico Almasri. Le ipotesi di reato nei confronti degli esponenti di governo sono favoreggiamento e peculato. Maria Teresa Cialoni, Donatella Casari e Valeria Cerulli saranno le giudici, nominate per sorteggio come previsto dalla procedura, del  Tribunale dei ministri, la sezione dedicata a questa "tipologia" di indagati. 

Cialoni, 62 anni e romana, è la presidente; Casari, 59 anni e milanese, è stata a lungo nella sezione lavoro del tribunale di Roma; mentre Cerulli, 51 anni di Napoli, in passato ha lavorato alla sezione civile di Velletri. Per quel che riguarda la vicenda Almasri, come atti iniziali ci sono solo la denuncia dell’avvocato Li Gotti e le valutazioni senza approfondimenti, se non sulla "non manifesta infondatezza delle accuse", del procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi, che per procedura ha dovuto individuare i possibili reati, iscrivendo premier, ministri e sottosegretario nel registro degli indagati per favoreggiamento e peculato. 

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Dietro la denuncia di Li Gotti il mandato di cattura internazionale emesso dalla Corte penale internazionale nei confronti di Almasri, che per questo secondo alcuni non sarebbe dovuto essere rimpatriato in Libia. Il Tribunale dei ministri può acquisire il mandato di arresto della Cpi e chiedere alla Corte e al governo una copia di tutte le comunicazioni che si sono scambiate sul punto. Un altro atto a disposizione dei giudici è il verbale di arresto di Almasri, così come redatto dalla Digos e inviato alla Procura generale della corte d’appello di Roma. Infine, le richieste di indicazioni su come procedere inviate dal pg a Nordio e l’ordinanza di scarcerazione. Le indagini, che possono durare un massimo di 90 giorni, possono portare o all’archiviazione, e la scelta è inoppugnabile; o se si ravvisano reati, alla decisione di rimandare gli atti al procuratore affinché chieda al Parlamento l’autorizzazione a procedere.

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