«Ho sempre operato correttamente ed in maniera legittima», avrebbe dichiarato secondo indiscrezioni Antonio Laudati, ex sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia ed antiterrorismo (Dna), ascoltato ieri pomeriggio per cinque ore dal procuratore aggiunto di Roma Giuseppe De Falco. Coinvolto nell’inchiesta sui dossieraggi contro esponenti politici di centrodestra, l’ex magistrato ha deciso quindi, dopo essersi avvalso in passato della facoltà di non rispondere, di fornire agli inquirenti i chiarimenti richiesti. L’interrogatorio si è svolto non a piazzale Clodio ma presso gli uffici della Procura generale, vicino la Cassazione: «Il mio assistito non intende rilasciare alcuna dichiarazione per comprensibili motivi di riservatezza e consentire agli organi competenti ogni doveroso approfondimento», è stato l’unico commento ufficiale da parte del difensore di Laudati, l’avvocato Andrea Castaldo.
Laudati, e l’allora tenente della guardia di finanza Pasquale Striano, sono attualmente i principali indagati dell’inchiesta sui dossieraggi ai danni di decine tra politici, personalità delle istituzioni e del mondo economico. Le accuse nei loro confronti sono di accesso abusivo a sistema informatico, falso in atto pubblico, rivelazione di segreto. Secondo gli investigatori, Striano, alle dipendenze funzionali di Laudati, in quasi quattro anni avrebbe interrogato i vari schedari informatici della Procura nazionale antimafia circa 40mila volte, estrapolando dati di cui si sono poi perse le tracce. Il procuratore di Perugia Raffaele Cantone, inizialmente titolare del fascicolo prima che una eccezione procedurale lo portasse per competenza territoriale a Roma, aveva chiesto la misura cautelare degli arresti nei loro confronti. Misura cautelare che era stata però rigettata dal giudice.
Nelle circa duecento pagine della richiesta di arresto, Cantone aveva indicato come fossero state riscontrate «specifiche circostanze ascrivibili ad entrambi gli indagati». Il pericolo di recidiva, secondo Cantone, si sarebbe concretizzato «anche e soprattutto alla luce delle articolate relazioni» e «che gli potevano consentire, anche tramite soggetti terzi, la commissione di ulteriori reati della stessa indole». Della vicenda, come si ricorderà, si è occupato in questi mesi il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir) e la Commissione parlamentare antimafia presieduta dalla meloniana Chiara Colosimo.
Esploso lo scandalo, Giovanni Melillo, procuratore nazionale antimafia, e lo stesso Cantone, avevano diramato un comunicato congiunto chiedendo di essere immediatamente ascoltati in tutte le sedi istituzionali competenti. «Il lavoro della Commissione antimafia, sulla vicenda degli accessi abusivi, è stato sempre improntato alla totale sinergia istituzionale con la Procura di Perugia e con la Procura antimafia, nel pieno rispetto dei ruoli e senza alcuna interferenza nelle indagini che gli inquirenti stanno conducendo, ma senza mai venir meno al dovere d’inchiesta che la legge istitutiva attribuisce alla Commissione antimafia», dissero da Palazzo San Macuto. La testimonianza di Laudati è destinata ora a imprimere una accelerazione ai lavori dei commissari.