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Le toghe sono in campagna elettorale

di Daniele Capezzone giovedì 24 luglio 2025

3' di lettura

Sarà bene cominciare a dare uno sguardo più attento al calendario politico, e non solo a quello delle ferie che molti fra noi sperano di meritarsi più o meno a breve. No: non penso solo alle domeniche d’autunno in cui avranno luogo le diverse elezioni regionali (Marche, Toscana, Veneto, Campania, Veneto, più la Valle d’Aosta).

Ma soprattutto, avanzando di qualche mese (realisticamente, nel primo semestre del 2026), c’è da ragionare su quando si svolgerà il referendum confermativo della riforma della giustizia, la quale realisticamente vedrà tra settembre e dicembre il suo terzo e quarto passaggio parlamentare. Poniamo che le cose vadano effettivamente così: entro fine 2025, il compimento positivo dell’iter parlamentare della riforma costituzionale (quattro approvazioni tra Camera e Senato, non solo due come accade per le leggi ordinarie); e dunque, nei mesi successivi, la convocazione del referendum. Ecco: tutto ciò che accadrà da qui a quel momento nelle aule di giustizia in Italia, nelle sedi giudiziarie di ogni ordine e grado, va visto nella prospettiva di quel probabilissimo voto referendario di primavera 2026.

A scanso di equivoci (e per evitare querele) premetto di presumere sempre la buona fede di tutti. Dunque, non sto evocando cattive intenzioni da parte di chicchessia (in toga o no): sto semplicemente registrando – in spirito di assoluto realismo – un fatto oggettivo. Che lo si voglia o no, ogni nuova inchiesta e ogni pronunciamento da parte di una qualsiasi istanza giurisdizionale a qualunque livello saranno oggettivamente parte di una campagna referendaria che è già aperta. E che – per i sostenitori dello status quo – è letteralmente l’ultima spiaggia per fermare una riforma che vedono come il fumo negli occhi.

Non si tratta – solo – della separazione delle carriere: quella costituirebbe una spettacolare (e meritatissima) sconfitta simbolica per i giustizialisti. E tuttavia anche il manettaro più scatenato non potrà negare un’evidenza indiscutibile: in tutti i paesi dell’Occidente avanzato, quella netta distinzione tra chi accusa e chi giudica già esiste. E dunque provare a presentarla come un colpo di stato, come il compimento di un piano piduista, come un modo di sovvertire la legalità repubblicana farà soltanto ridere. Tutte balle.

Semmai, nel mondo civile, era ed è solo l’Italia a fare per il momento eccezione, non avendo ancora approvato quella radicale separazione. E allora la vera “minaccia” (che al contrario è una benedizione per chiunque creda nella giustizia giusta) sta nella decisione del governo di inserire nella riforma il meccanismo del sorteggio ai fini della futura composizione del Csm: operazione che complica moltissimo la vita delle correnti, abituate ad avere potere di vita e di morte.

Capite bene che – per chi è stato abituato a gestire tutto in chiave correntizia – quella novità è letale. Va spiegata così la furia giustizialista contro la riforma. Altro che le stanche geremiadi contro l’eredità berlusconiana, o sulla presunta “vendetta delle destre” contro i magistrati. Quelli sono bengala lanciati in aria per distrarre i gonzi. Il vero tema è il Csm e la sua composizione che – lo ripeto – può finalmente sfuggire di mano alle correnti. E allora preparatevi, anzi prepariamoci. Milano e le Marche sono solo l’antipasto. Lo ripeto ancora: non sto accusando nessuno, non sto evocando complotti, non sto delineando scenari opachi. Al contrario, è tutto molto chiaro: da qui alla prossima primavera, ogni avviso di garanzia, ogni inchiesta, ogni sentenza, ogni pronunciamento giurisdizionale, ogni azione di una procura, di un tribunale, su su fino alla Cassazione, saranno oggettivamente lo sfondo, la scenografia, l’arena in cui si svolgerà la campagna referendaria. La sequenza cronologica diventa un’evidenza politica oggettiva.

Amici lettori, non voglio spaventarvi, ma i conti si fanno presto. La stessa operazione volta a riaprire il caso Salvini (che le persone ragionevoli speravano fosse definitivamente chiuso con il pieno riconoscimento delle ragioni del leader leghista) dove pensate che ci conduca, calendario alla mano? La previsione è fin troppo facile: stiamo parlando di una decisione che la Cassazione potrebbe assumere entro sei/nove mesi. E cioè? E cioè l’avete già capito: come uno degli ultimi “botti” mentre la campagna referendaria sarà al suo culmine. Una ragione di più per difendere Salvini, per difendere la riforma che governo e maggioranza stanno portando avanti, e soprattutto per difendere l’agibilità di uno spazio politico che dovrebbe essere oggetto esclusivo delle decisioni degli elettori. Non di altri.

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