Via libera del Senato al disegno di legge sulla separazione delle carriere dei magistrati. Questo nonostante le proteste dell'opposizione. Ecco allora che a tirare le orecchie al Partito democratico e alla sua leader ci pensa Enrico Morando. "Non è un attentato alla Costituzione e dire sì alla riforma voluta dal centrodestra significa essere coerenti con l’impostazione che la sinistra ha avuto anche quando ha votato la modifica dell’articolo 111 della Costituzione", tuona senza mezzi termini raggiunto da La Stampa. Già parlamentare Pds, Ds, Pd, Morando se la prende con chi dichiara guerra alla riforma di Carlo Nordio.
"In realtà è la decisione di dire no, in modo pressoché pregiudiziale, che si discosta dall’elaborazione che negli anni abbiamo fatto su questo tema. Oggi forse in troppi lo dimenticano, ma noi nel 1999 facemmo la riforma dell’articolo 111 della Costituzione, introducendo il giusto processo…". E ancora: "Bisogna chiedersi: la separazione delle carriere in sé è lesiva di qualche norma costituzionale, in particolare di quella sull’autonomia e indipendenza della magistratura? È prodromica alla subordinazione del magistrato requirente all’esecutivo? La risposta è no. Non lo dico io, lo ha detto la Corte costituzionale nel 2000, ammettendo il primo referendum sulla separazione delle carriere. Quindi dire che si scivolerebbe verso una subordinazione del pm all’esecutivo è un pessimo argomento".
Finita qui? Niente affatto. Per Morando le opposizioni stanno usando il referendum per sfidare Meloni: "Recentemente abbiamo fatto un’esperienza non proprio positiva di referendum sostenuti non per il merito ma per il significato politico generale, il referendum sul jobs act. I numeri dei referendum si leggono dicendo: ha vinto il 'sì' o il 'no'? Se il quorum è mancato – rincara la dose – è evidente che è stata una battaglia sbagliata. Ci si può inventare tutte le elucubrazioni che si vuole, ma quanti esempi ci vogliono per capire che contare i ‘sì’ o i ‘no’ come se fossero voti a un partito è esercizio arduo?".