La Corte dei Conti crede di essere la Corte dei Ponti e conferma, ancora una volta, la necessità di una riforma che, vista l’ennesima l’invasione di campo, dovrebbe essere ben più radicale di quella in discussione in Parlamento. Siamo arrivati al punto che sulle grandi opere strategiche che fanno parte del programma di governo decidono un paio di magistrati, i quali si sarebbero lamentati della presenza di “link” nella documentazione del ministero sull’infrastruttura.
Delle due l’una: o sono analfabeti digitali che vivono nell’800 o sono degli azzeccagarbugli che cercano un cavillo per condurre una guerra politica contro il centrodestra che ha osato votare una riforma della giustizia, di cui la Corte è uno stellare esempio di corporativismo e faziosità. Le motivazioni della bocciatura saranno note entro 30 giorni e il solo fatto che le toghe abbiano questo lasso di tempo per intingere il pennino dà tutta l’idea della loro inattualità e inadeguatezza. Webuild è una società quotata in Borsa, i mercati comprano e vendono in tempo reale, gli italiani che votano e pagano le tasse dovrebbero essere informati subito nel dettaglio delle ragioni della decisione, ma come sempre da una parte c’è la realtà e dall’altra c’è la magistratura.
Mentre migliaia di persone mandavano il loro curriculum per cercare un posto di lavoro con Webuild, i giudici prendevano una decisione che deve spettare solo al governo perché è in gioco l’interesse nazionale non la parrucca delle toghe. Ho sempre scritto che la vera opposizione non è quella che siede in Parlamento, ma l’invisibile partito della magistratura, dell’alta burocrazia, inamovibile e irresponsabile, che tutto decide senza mai pagare dazio. La sinistra li ha coccolati, arruolati, protetti per decenni.
Così hanno reso la vita impossibile al centrodestra fin dalla discesa in campo del Cavaliere nel 1994, ci stanno riprovando trent’anni dopo. Ho la netta sensazione che non ci riusciranno perché ieri abbiamo avuto la prova che in Italia la giustizia è sotto un ponte.