Il 20 maggio 2025, in Procura a Roma, viene convocato l’ex procuratore antimafia Federico Cafiero De Raho, oggi deputato grillino. L’aggiunto Giuseppe De Falco e la pm Giulia Guccione vogliono capire com’è che da una struttura blindata, qual è la Direzione nazionale antimafia, siano volate informazioni riservate a uso e consumo del finanziere infedele, Pasquale Striano, e soprattutto perché non siano scattati i meccanismi di prevenzione, controllo e repressione di queste attività illegali. E Cafiero risponde disegnando uno scenario allarmante in cui le regole ci sono, ma vengono sistematicamente disattese. La prassi della trasparenza al contrario.
«Io ho mantenuto sostanzialmente tutta l’organizzazione Roberti fino [...] al 2021», spiega Cafiero. Che poi aggiunge: «Quando presi servizio (anno 2017, ndr) non vi erano regole per quanto riguardava gli approfondimenti in tutte le materie, quindi per quanto riguardava le ricerche e quindi l’accesso ai sistemi informativi». C’erano sistemi di tracciamento per l’accesso a banche dati come Sidna, attraverso «delle password» con cui «veniva riconosciuto immediatamente il soggetto che entrava» e «naturalmente tutti avevano piena consapevolezza della traccia che veniva lasciata nei sistemi informativi», ma, denuncia l’ex capo della Dna, «non vi erano regole scritte per quanto riguardava le ricerche che venivano effettuate». Insomma, una sorta di anarchia informativa ad altissimo voltaggio. Il deputato entra nel dettaglio specificando che mancavano, all’epoca del suo predecessore, «dei provvedimenti che in qualche modo fissassero le regole alle quali bisognava attenersi come polizia giudiziaria e come magistrati per accedere alle banche dati e sviluppare comunque attività di ricerca».
Dossieraggio, Cantalamessa contro De Raho: "Scelte inopportune, si dimetta"
Le rivelazioni sul possibile ruolo di Federico Cafiero De Raho nella vicenda del dossieraggio, sia quando era procurator...Per questo, Cafiero rivendica: «Il primo provvedimento che ho emesso è il numero 25» del 2021, quindi ben quattro anni dopo il suo insediamento e praticamente agli sgoccioli della sua esperienza in Via Giulia. Quando Striano è già diventato il capo indiscusso (di fatto) dell’ufficio Sos. I magistrati insistono sulle modalità di «lavorazione» delle segnalazioni sospette, e l’ex procuratore replica: «La Dna non è che si inventa il nominativo e va a fare gli accertamenti» (anche se questo è accaduto negli accessi abusivi contestati a Striano, ndr). «Esistono invece», spiega ancora, «delle segnalazioni che arrivano [...] e sono state selezionate perché hanno attinenza a mafia o terrorismo». Solo «a quel punto devono essere lavorate», secondo «il metodo della maggiore o minore gravità». Tutto perfetto, tutto giusto, se non fosse per un piccolo particolare: la Dna, sotto la gestione di Cafiero, si è occupata apertamente, in almeno due occasioni in poco meno di cinque mesi, di temi completamente slegati dal contesto antimafia e antiterrorismo.
E ci riferiamo, come abbiamo raccontato in esclusiva nei giorni scorsi, agli inviti a indagare sull’acquisto di una casa da parte dell’ex sottosegretario leghista, Armando Siri, e sui conti del Carroccio. Su quest’ultimo fronte, addirittura, pur essendo consapevole della incompetenza della Dna a trattare la materia, Cafiero inviò ben quattro atti di impulso ad altrettante Procure, a vario titolo impegnate a indagare sul partito: Bergamo, Roma, Genova e Milano. Come mai Cafiero, pur occupandosi – come ha avuto modo di spiegare agli inquirenti romani - «dell’ufficio in generale, non certo proprio delle segnalazioni», non ha sentito l’esigenza di accendere un faro sulle eccentriche modalità di gestione delle Sos della sua struttura che gli erano ben più che note? Tra le segnalazioni sul mondo Lega (2019) e il suo primo provvedimento (2021) passano ben due anni: perché non ha adottato un sistema di verifica del lavoro più stringente nel frattempo?
L'ufficio Sos era, insomma, una repubblica autonoma all'interno della Dna tanto che il procuratore aggiunto Giovanni Russo, in un altro interrogatorio, ha spiegato che il provvedimento di riorganizzazione delle funzioni «non ha dato l’esito che io speravo perché di fatto il gruppo Sos non si è adeguato alle regole previste per il gruppo Ricerche» e, in particolare, le «attività svolte dal gruppo Sos non venivano sottoposte al mio visto preventivo prima dell’elaborazione da parte del dottor Laudati». Una catena di Sant’Antonio in cui tutti pensavano di vivere nel migliore dei mondi possibili. E invece facevano un picnic all’inferno.




