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Arresto Hannoun, il pm: "L'indagine non cancella i crimini di guerra ai danni dei palestinesi"

Dopo l'arresto di #Hannoun, lo scivolone di #Melillo: la frase con cui attacca #Israele. #Gasparri: "La toga è un capo politico"
di Tommaso Montesano domenica 28 dicembre 2025

3' di lettura

Sui social qualcuno ha fatto questo paragone con gli Anni di piombo: «Un po’ come se avessero detto: “Abbiamo arrestato membri delle Brigate Rosse, ma ciò non inficia le legittime aspirazioni alla lotta di classe”». Il soggetto sono i due magistrati che hanno guidato l’operazione che ha portato all’arresto delle nove persone accusate di aver messo in piedi la “rete italiana di Hamas”: il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Giovanni Melillo, e il capo della procura di Genova, Nicola Piacente.

A far discutere, anche la politica, è la chiosa della nota con la quale danno conto dei primi risultati dell’inchiesta: «Le indagini e i fatti attraverso esse emersi non possono in alcun modo togliere rilievo ai crimini commessi ai danni della popolazione palestinese successivamente al 7 ottobre 2023 nel corso delle operazioni militari intraprese dal governo di Israele».

Un giudizio politico, di merito, sull’azione dell’esecutivo di Benjamin Netanyhau, che nulla c’entra con le indagini. Un unicum, a ben guardare, come non manca di far notare Maurizio Gasparri, capogruppo di Forza Italia al Senato: «Comportamento incredibile: Melillo appare come un capo politico e non come il capo di una procura antimafia». I due magistrati, a sostegno del loro giudizio politico di censura sull’operato di Gerusalemme, citano nientemeno che l’operato della Corte penale internazionale, presso la quale è pendente un’inchiesta sui presunti crimini di guerra commessi da Israele. La Corte, infatti, il 22 novembre del 2024 ha spiccato un mandato di arresto nei confronti dello stesso Netanyhau e dell’allora ministro della Difesa, Yoav Gallant, appunto per presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

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È a quelle mosse che si riferiscono Melillo e Piacente quando scrivono che Israele è in attesa della pronuncia della Corte, «da rendersi in conformità allo Statuto di Roma, ratificato da 125 Stati membri, fra i quali, in un ruolo di impulso e sostegno, l’Italia» (e qui non è difficile leggere un tentativo di coprirsi le spalle e di forzare la mano al governo, nonostante la presa di posizione pubblica del nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, contro gli arresti). «Tali crimini», ribadiscono Melillo e Piacente, «non possono giustificare gli atti di terrorismo (compresi quelli del 7 ottobre 2023) compiuti da Hamas e dalle organizzazioni terroristiche a questa collegate». Anche se commessi, questi atti, «nel contesto di conflitti armati» e in territori che, «in base al diritto internazionale, devono ritenersi illegittimamente occupati».

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Insomma, al netto di quella parola, «crimini», appiccicata sullo Stato di Israele prima ancora dell’emissione del giudizio della pur discutibile Corte penale internazionale- di cui Gerusalemme, va ricordato, non ha mai ratificato lo Statuto di Roma -, i due magistrati si abbandonano a giudizi sulla crisi in Medio Oriente prendendo palesemente le parti dei palestinesi (emblematico il riferimento ai «territori illegittimamente occupati»). Da qui l’ira di Gasparri: «La procura antimafia è un luogo che spesso favorisce epiloghi politici. Abbiamo visto le gesta dei suoi predecessori (il bersaglio è Melillo, ndr) che si sono tutti candidati nel Parlamento nazionale o in quello europeo con la sinistra».

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