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Karim Franceschi, l'italiano che combatte l'Isis: "Non pensavo di tornare vivo. Se ho ucciso? No comment"

di Andrea Tempestini domenica 19 aprile 2015

3' di lettura

«Si combatte tutta la notte e il giorno finché non sei stremato... i vestiti addosso ti puzzano, le gambe cedono e cerchi di non dormire... per conquistare la casa davanti a te... spari e non vedi... rischiando, a tutte le ore, che arrivi qualcuno dell'Isis e ti tagli la testa» dice con una voce sottile Karim Franceschi. Parla con un tono mite il 26enne di Senigallia che ha deciso qualche mese fa di lasciare l'Italia e unirsi al popolo curdo di Kobane per combattere le l'Isis: «Non mi piace un mondo dove i bambini combattono e gli uomini guardano». È figlio di un partigiano e di una madre marocchina ed è tornato dopo tre mesi di combattimenti, 26 anni compiuti al fronte e il sangue di Kobane davanti agli occhi. Come ti senti Karim? «Vivo... (ride). Quando sono arrivato, Kobane era circondata dall'Isis. Sono contento di essere vivo» Com'è iniziata questa pericolosa avventura? «Con un addestramento di 3 giorni» In cosa è consistito? In esercitazioni in un campo? «No. Nello sparare con un ak47, in una piccolissima strada di 50 metri. Sei circondato dalla guerra che si sviluppa su ogni lato. Vedi come funziona il kalašnikov, tutto qui. Poi vieni assegnato ad una squadra al fronte» Cos'è il fronte? «Una linea di tantissime case. Si cerca di conquistare quella di fronte la tua, niente di più. Si combatte da una all'altra, notte e giorno, in mezzo a donne, bambini che lottano con te ininterrottamente. Ho visto ragazzette piccolissime combattere come leoni» Raccontami una giornata tipo! «Non c'è. Se non hai combattuto di notte ci si sveglia alle sei e si riprende a combattere nel fango. Quando non ce la fai più cerchi di riposarti e di arretrare nelle case che i tuoi hanno già occupato. Lì ti lavi e mangi qualcosa per ritornare poi a combattere» L'acqua? «In una delle case in cui sono stato erano riusciti a tirare su l'acqua da un pozzo, poi arrivavano le bottigliette» E nella città dei civili? «Paradossalmente rischiavamo di più. Perché non sei del tutto all’erta. Ma dovevamo pur mandare giù qualcosa... Per una settimana ho mangiato solo fagioli in scatola» Quanto ti sei sentito preparato per dove sei andato? «Non si è mai preparati. Ma o combatti o muori. Dietro di te ci sono solo i civili e non hai scelta. Serve coraggio e determinazione, il resto è secondario. Certo un po’ di prestanza fisica aiuta ma la determinazione è tutto» Hai ucciso? «No comment... » E la comunicazione tra voi? «Ci si capiva a gesti. C'era uno che parlava un inglese stentatissimo che gli si spappolava dalla bocca quando gli attacchi si facevano cruenti» Le armi? «Inizialmente ho visto solo ak47. Poi rubavamo le armi ai nemici uccisi, e lì abbiamo inziato ad usare granate e lanciarazzi... » Dall'occidente cosa arriva? «Principalmente viveri. Ma in un certo periodo anche equipaggiamenti dalla Nato e dagli altri Paesi» E l'Italia? «È assente in ogni senso. Nel senso che se si crede nei valori democratici e nella Costituzione bisogna sapere che questi valori non hanno confine. Dobbiamo stare al fronte ed aiutare questa gente preda delle barbarie prima che arrivino a noi» Quanto ti ha cambiato questa esperienza? «Mi ha insegnato cosa vuol dire il sacrificio per quello in cui credi. Non so se in occidente siamo capaci di difenderle» E i famosi peshmerga curdi? «Loro vivono un grande dramma. Mentre combattono i loro figli si arruolano con l'Isis, un incredibile macchina di propaganda» Come fanno? «Come in occidente. Convincono gli emarginati che per loro lì ci sarà una vita di ricchezze. E chi è diverso va distrutto, ucciso o schiavizzato. La democrazia è per loro un peccato mortale» Quindi? «Ci vuole una lotta sulle idee. Dare una via d'uscita che vada oltre i soldi. Mostrare che ci si può comprendere sempre tra diversi. Ho visto cristiani, ebrei, musulmani sciiti e sunniti combattere contro l'Isis insieme» Chi sono i quadri intermedi dell’Isis? «Io ho visto pezzi dell'esercito di Saddam Hussein» Quanto è pesata la tua storia personale di italiano di seconda generazione, nato da madre marocchina? «Molto. Io non sono nazionalista ma patriota. Mi fa un'enorme tristezza chi di seconda generazione in occidente si è unito all'Isis» Sei tornato dopo tre mesi... «Era il tempo che mi ero prefissato» Ritornerai lì a combattere? «Non lo so. Non pensavo di tornare vivo» intervista di Antonio Amorosi

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