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Treviso, nella moschea dei "bimbi" pregavano anche i terroristi

In passato il centro del Trevigiano è stato frequentato da estremisti accusati di essere reclutatori dell’Isis. Espulsi due macedoni. E suor Monia boccia la scuola
di Fabio Rubini martedì 6 maggio 2025

3' di lettura

Mentre la politica non smette di interrogarsi sull’opportunità di fotografare dei bambini di un asilo paritario mentre pregano “all’islamica” all’interno di una moschea, dalle nebbie del passato è riemerso un episodio piuttosto significativo che riguarda la comunità islamica Emanet di Susegana nel Trevigiano. La stessa dove i bambini della scuola per l’infanzia Santa Maria delle Vittorie di Ponte di Priula sono andati in “gita”. I fatti si riferiscono al 2018 e diremo in seguito che da allora le cose in quella comunità sono molto cambiate, ma la notizia resta in tutta la sua purezza.

A fine gennaio di quell’anno due frequentatori del centro islamico vennero espulsi dall’Italia perché sospettati di jihadismo. A finire nelle maglie delle forze dell’ordine furono Fikret e Berzat Daliposky, due cugini macedoni di 45 e 43 anni, che secondo le indagini svolte allora, tenevano costanti contatti con imam salafiti e con connazionali con precedenti per terrorismo internazionale. In particolare i due vennero ritenuti essere non solo potenziali reclutatori di terroristi, ma veri e propri foreign fighters pronti a raggiungere la Siria per combattere nelle fila dell’Isis. Per questo l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti (Pd), firmò il decreto di espulsione per i due, che vennero fatti salire su un volo per la Macedonia e tanti saluti. Al tempo i frequentatori del centro restarono sorpresi e dichiararono a più riprese di non essersi accorti di nulla.

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In quegli anni il centro di Susegana era attenzionato dalla Digos come centro fortemente radicalizzato. Da allora, fanno sapere fonti del Viminale, quella stessa comunità si è normalizzata, tanto che oggi il centro islamico Emanet viene catalogato come «dialogante». Insomma, la situazione pare notevolmente migliorata, anche se l’ombra di quel passato scomodo non potrà mai essere cancellata del tutto.

«Davvero non è grave - si è chiesto ieri il capodelegazione leghista all’Europarlamento, Paolo Borchia - che quel centro islamico sia stato frequentato da soggetti vicini ai reclutatori salafiti? Davvero tutto questo va bene, purché non si parli di presepi o di crocifissi?». Sempre dalla Lega arriva la voce della senatrice Mara Bizzotto: «Portare i bambini di un asilo in una moschea e costringerli a pregare inginocchiati verso la Mecca non è educazione, ma un fatto sconcertante e gravissimo. A Susegana è stato superato ogni limite. Non possiamo accettare che le scuole italiane vengano trasformate in strumenti di propaganda culturale e religiosa: questa non è integrazione, ma indottrinamento». Bizzotto se la prende anche con quegli esponenti del Pd che avevano applaudito all’iniziativa: «È assolutamente vergognoso. Sono gli stessi che vorrebbero togliere il crocifisso dalle scuole, ma che al contempo gioiscono se i bambini vengono portati in moschea a pregare con un imam».

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Anche l’europarlamentare di Fratelli d’Italia, Elena Donazzan, s’interroga sull’accaduto: «Un conto è l’educazione al rispetto, altro è confondere le identità culturali e religiose già a un’età così delicata. La vera questione - prosegue - è che oggi in Italia sempre più giovani coppie non battezzano i loro figli, e nelle scuole molti bambini non conoscono nemmeno più il Padre Nostro. Stiamo assistendo alla progressiva cancellazione del nostro patrimonio religioso e culturale cristiano e cattolico».

Ad interrogarsi sull’accaduto non c’è solo la politica. Se domenica si è assistito al botta e risposta tra la comunità ebraica e quella islamica, ieri è intervenuta nel dibattito Suor Anna Monia Alfieri, esperta di politiche scolastiche: «Che dei bambini vistino una moschea è comprensibile, soprattutto se la visita è inserita in un progetto di reciproca conoscenza tra comunità appartenenti a religioni diverse e abitanti lo stesso territorio. Che però - precisa Suor Monia- la visita comprenda un momento di preghiera ad Allah con tanto di foto postate su Facebook, lo trovo un gesto poco chiaro, poco onesto, poco rispettoso. Occorre davvero essere attenti e intellettualmente onesti, altrimenti tutto si riduce a polemica, a gesto divisivo ed eclatante, a favore di social. Ma non è questo il bene per i nostri giovani, non è questa la via da percorrere».

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